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giurisprudenza

Notifica diretta ad avvocato cancellato: caso di esclusione della nullità (Cass., Sez. II, 21 maggio 2013, n. 12478)

Il caso affrontato dalla Seconda Sezione Civile della Cassazione è alquanto particolare. Un avvocato si era fatto cedere il credito asseritamente vantato da un appaltatore per poi agire per il suo recupero nei confronti del committente. Nel giudizio di primo grado all’avvocato veniva riconosciuto il credito ceduto; tuttavia, nel successivo giudizio di appello, nel quale rimaneva contumace, il committente otteneva l’integrale riforma della sentenza di primo grado. Il legale, pertanto, ricorreva in Cassazione, eccependo l’invalidità dell’intero procedimento di appello e della sentenza che lo aveva definito, in quanto il relativo atto introduttivo era stato notificato presso il difensore del primo grado, quando questi a causa di una sanzione disciplinare, era ormai stato cancellato dall’albo.
La Corte di Cassazione, pur condividendo in astratto i principi giuridici alla base del ricorso, non li ha ritenuti applicabili al caso concreto. Infatti, a detta della Suprema Corte “… la notifica dell’atto di appello, successiva alla cancellazione dall’albo dell’avvocato domiciliatario, avrebbe dovuto essere effettuata alla parte personalmente …”, con la conseguente nullità dell’intero processo di secondo grado.
Tuttavia, gli Ermellini non hanno ritenuto di applicare tali principi, stante le peculiarità del caso concreto. Infatti, dalle risultanze processuali era emerso come il legale del ricorrente, dopo la cancellazione dall’albo, avesse continuato a svolgere attività difensive nell’interesse del proprio assistito. In particolare, era emerso che non solo aveva richiesto in cancelleria copia autentica della sentenza di primo grado, ma anche che aveva addirittura inviato al difensore di controparte, su propria carta intestata, copia del conteggio delle spettanze maturate in forza della sentenza del giudice di prime cure.
In altri termini, secondo la Corte di Cassazione la sanzione della nullità “… non opera, perché essa finirebbe con il giovare a chi, con la propria attività rivolta ad ottenere l’esecuzione della sentenza in favore del proprio cliente pur non avendo più titolo a rappresentarlo e difenderlo, ha creato la indicata situazione di affidamento sulla persistenza della iscrizione all’albo. E ciò contrasterebbe con il principio per cui non vi può essere impiego abusivo o deviato degli strumenti processuali posti a tutela del diritto di difesa (Cass., Sez. Un. 15 novembre 2007, n. 23726), essendo le parti chiamate a tenere un comportamento corretto nell’agire e difendersi in giudizio, che non smarrisca ma il fine della tutela dei diritti, che è quello di rendere giustizia secondo i canoni del giusto processo”.

a cura di Marco Ferrero