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giurisprudenza

Tentata estorsione per l’avvocato che lucra sulla transazione tra i suoi assistiti e il loro datore di lavoro (Cass., Sez. II Pen., 19 marzo 2013, n. 12792)

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso di un avvocato che, agendo come legale dei congiunti di una serie di operai deceduti a seguito di patologie presumibilmente contratte per l’esposizione a fibre di amianto, tentava di procurarsi indebito profitto lucrando sulle somme riconosciute ai propri assistiti a titolo risarcitorio dall’azienda ritenuta responsabile. Il Tribunale, riqualificando l’originaria imputazione –  tentata estorsione aggravata – come truffa aggravata, condannava l’imputato, il quale proponeva appello, senza proporre specifici motivi di appello per contestare la ricostruzione fattuale accolta nella sentenza di primo grado. La Corte d’Appello, sulla base di ciò, riqualificava i fatti accertati secondo l’originaria contestazione di tentata estorsione. La Corte di Cassazione, valorizzando analiticamente il ragionamento effettuato dalla Corte d’Appello, riteneva corretta la riqualificazione del fatto, considerando il particolare stato di prostrazione diffuso tra gli assistiti dell’imputato, lo sfruttamento da parte di quest’ultimo delle gravi condizioni di disagio economico in cui gli stessi versavano, nonché la circostanza per la quale, risiedendo nell’autonomia negoziale la principale fonte di regolamentazione del compenso per la prestazione dell’avvocato, nel caso di specie si doveva escludere la sussistenza di un simile accordo inter partes.

a cura di Leonardo Cammunci