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giurisprudenza

L’avvocato non ha diritto al risarcimento dei danni per i disservizi delle cancellerie (Cass., Sez. III, 4 dicembre 2012, n. 21725)

Nella sentenza in commento la Suprema Corte di Cassazione affronta il caso di un avvocato che aveva convenuto in giudizio il Ministero della Giustizia per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni, determinati, in via indicativa, in € 458.000,00, asseritamente subiti a causa dei sistematici disservizi e delle sistematiche carenze organizzative delle cancellerie e degli ufficiali giudiziari, che avevano costretto il legale a lavorare in condizioni di estremo disagio, sacrificando un’incalcolabile quantità di tempo, anche nei giorni festivi, per lo svolgimento di adempimenti che altri avrebbero dovuto compiere.
Il Tribunale rigettava la domanda di risarcimento. La Corte d’Appello adita rigettava a sua volta il gravame del legale, così motivando:
1) i costi sostenuti da un avvocato nello svolgimento del mandato professionale sono, comunque, a carico del cliente;
2) quanto al risarcimento del danno derivante dalla perdita del tempo libero – che il legale aveva determinato in circa un’ora e mezza al giorno – essa rilevava trattarsi di danno non patrimoniale, come tale comunque non risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c.
Su ricorso del legale il caso giungeva davanti alla Sezione terza della Corte di Cassazione, la quale condivideva le argomentazioni del giudice di merito con alcune precisazioni.
Chiariva al riguardo la Sezione terza che, dal momento che l’avvocato è un libero professionista, lo stesso ben può trovare il giusto equilibrio tra lavoro e tempo libero, scegliendo la quantità degli impegni. Quanto poi agli esborsi che il legale dovrà sostenere, anche in termini di sacrificio del proprio tempo libero, questi saranno posti, nei limiti consentiti dalle tabelle professionali, a carico dei clienti.
Secondo la Sezione terza non assume rilievo né la verifica dell’entità dei disservizi connessi all’amministrazione della giustizia, né la quantificazione del numero di ore che un avvocato è costretto ad impiegare nello svolgimento di attività proprie di altri soggetti.
Secondo la Sezione terza ciò che conta è valutare se tutto ciò possa tradursi in un danno risarcibile e, a tale riguardo, la stessa ha cura di fare riferimento ad una pronuncia della Corte a Sezioni Unite (11 novembre 2008 n. 26972), nella quale si afferma che il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile, sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni:
1) che l’interesse leso abbia rilevanza costituzionale;
2) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità;
3) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita o alla felicità.
La Sezione terza fa poi riferimento anche ad un’altra sua precedente pronuncia (27 aprile 2011 n. 9422) nella quale riconosce che il “tempo libero” non costituisce, di per sé, un diritto fondamentale della persona tutelato a livello costituzionale e sovranazionale, e ciò per la semplice ragione che il suo esercizio è rimesso alla esclusiva autodeterminazione della persona, che è libera di scegliere tra l’impegno instancabile nel lavoro e il dedicarsi invece a realizzare il proprio tempo libero da lavoro e da ogni occupazione.
Conclude pertanto la Sezione terza affermando che, trattandosi di un diritto immaginario, nei sensi di cui al citato precedente delle Sezioni Unite, esso non può essere fonte di un obbligo risarcitorio in relazione al danno non patrimoniale e, pertanto, sulla scorta di tale convincimento rigetta il ricorso.
a cura di Silvia Ammannati