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giurisprudenza

Integra il reato di esercizio abusivo di una professione il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva ad una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorchè lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato (Cass., Sez. II Pen., 14 ottobre 2014, n. 42933)

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ribadisce il principio, già affermato dalle Sezioni Unite, per cui integra il reato di esercizio abusivo di una professione il compimento di atti esclusivamente attribuiti ad una determinata professione, tutte le volte in cui lo stesso compimento venga realizzato secondo modalità idonee a creare le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato alla stessa. Nel caso di specie, il ricorrente aveva compiuto una tipica attività della professione forense (secondo indicazione tabellare nell’allora vigente regolamento di determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità), consistente dal tenere autonomamente “sessioni” con i clienti, che in alcuni casi non avevano avuto neppure modo di conferire con il padre dello stesso ricorrente, avvocato titolare dello studio legale. L’imputato dunque non solo si era attribuito impropriamente il titolo di avvocato, ma aveva anche trattato con i clienti assumendone il relativo ruolo. I giudici di legittimità sono molto chiari nel ritenere sufficiente al perfezionamento del reato in esame la creazione della sola apparenza di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato. Pertanto, ritenendo infondati i motivi del ricorso presentato, il collegio rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
                                                                                                         
a cura di Elena Borsotti