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giurisprudenza

Anche nel processo amministrativo vale il principio della “soccombenza virtuale” ai fini delle spese di causa, per cui deve essere condannata alle spese l’Amministrazione che evada nel corso del relativo giudizio la domanda di accesso agli atti presentata dal privato (Cons. di Stato, Sez. IV, 24 novembre 2016, n. 4948)

Il Consiglio di Stato ha chiarito che pur avendo il Giudice amministrativo ampi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento, sul piano equitativo, dei giusti motivi per far luogo alla compensazione delle spese giudiziali, non è comunque sufficiente la generica motivazione di stile secondo cui ricorrono “giusti motivi per la compensazione” delle spese, soprattutto alla luce del fatto che l’art. 92 c.p.c., richiamato dall’art. 26 c.p.a., nel testo attualmente vigente riferisce la possibilità della compensazione alla sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni.

I motivi che eventualmente giustifichino la compensazione delle spese devono pertanto essere chiaramente desumibili dalla decisione e devono tener conto del fatto che di regola le spese seguono la soccombenza, nonché, in punto di fatto, delle circostanze della vicenda concreta.

Sulla base di tali premesse, il Consiglio di Stato ha quindi affermato che il principio della cd. “soccombenza virtuale” opera anche nel processo amministrativo e che, di conseguenza, nel caso in cui la Pubblica amministrazione evada l’istanza di accesso agli atti presentata dal privato nel corso del relativo processo, determinandone così la chiusura per cessazione della materia del contendere, le spese del giudizio devono essere poste a carico della medesima Amministrazione qualora, come nel caso di specie, non sussista alcuna ragione giustificativa del ritardo con cui sia intervenuta l’ostensione dei documenti richiesti e dunque l’Amministrazione risulti appunto “virtualmente” soccombente.

A cura di Giovanni Taddei Elmi