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giurisprudenza

Il Consiglio di Stato dichiara illegittime alcune norme del Regolamento per l’elezione dei Consigli dell’Ordine relative, in particolare, alle modalità di voto e alla tutela della parità di genere (Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 2016, n. 3414)

Il Consiglio di Stato conferma la sentenza del TAR del Lazio, Sez. I, n. 8333 del 13.6.2015, che ha annullato, in quanto illegittimi per contrasto con l’art. 28 della L. n. 247/2012, gli artt. 7, 9 e 14, comma 7, del “Regolamento sulle modalità di elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi, a norma dell’art. 28 della legge 31 dicembre 2012 n. 247” adottato con decreto del Ministro della giustizia del 10 novembre 2014.

Si tratta in particolare delle previsioni regolamentari che consentono all’elettore di esprimere un numero di preferenze pari al numero complessivo dei componenti del consiglio da eleggere (e non limitato ai due terzi dei consiglieri) nel caso in cui un terzo delle preferenze sia destinato al genere meno rappresentato (articoli 7 e 9 del regolamento) e della disposizione (art. 14 comma 7) che prevede che, ai fini del rispetto della quota di un terzo del genere meno rappresentato, qualora l’esito delle elezioni non sia tale da garantire tale limite, si sostituiscono i candidati meno votati del genere più rappresentato eccedenti la quota dei due terzi con i candidati più votati del genere meno rappresentato, sino al raggiungimento del terzo residuo.

Secondo il Consiglio di Stato gli artt. 7 e 9 del regolamento si pongono in contrasto con l’art. 28, comma 3, della L. n. 247/2012 in quanto, al fine di garantire la parità di genere, hanno violato il principio, insuperabile, del “voto limitato” posto da tale norma di legge a tutela del pluralismo. Tali norme regolamentari, nell’intento di garantire la parità di genere, hanno infatti previsto la possibilità per l’elettore di esprimere un numero di preferenze pari al numero complessivo dei consiglieri da eleggere, nonostante che l’art. 28, comma 3, L. n. 247/2012, a tutela del pluralismo, preveda espressamente che non sia possibile esprimere un numero di voti superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere, anche nel caso di voti destinati ad entrambi i generi.

Come affermato dalla sentenza di primo grado del TAR Lazio, inoltre, l’art. 14, comma 7, del medesimo regolamento è illegittimo in quanto si pone in contrasto con il principio affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui le norme a tutela della parità di genere risultano compatibili con il sistema complessivamente delineato dagli articoli 3, 48 e 51 della Costituzione solo laddove si limitino a prevedere misure promozionali “a monte” del procedimento elettorale, mentre risultano costituzionalmente illegittime laddove prevedano meccanismi correttivi “a valle” del procedimento medesimo. Di conseguenza, l’obiettivo della tutela di genere può essere legittimamente perseguito incidendo sulle modalità di formazione delle liste o sulle modalità di espressione delle preferenze, mentre il perseguimento della suddetta finalità non può importare una modifica ex post della volontà espressa dal corpo elettorale, ciò che è invece avvenuto nel caso in esame in forza del contenuto del comma 7 dell’art. 14 del regolamento impugnato, che, come detto, delinea un meccanismo di sostituzione ex post dei consiglieri eletti.

A cura di Giovanni Taddei Elmi