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giurisprudenza

In materia di indennizzo per la durata irragionevole del giudizio, è legittima la condizione di ammissibilità dell’istanza di decisione a seguito di trattazione orale (Corte Cost., Sent., 23 giugno 2020, n. 121)

Con la sentenza in commento la Corte Costituzionale si pronuncia sulla questione di legittimità costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 1-bis c.2, 1-ter c.1, e 2 c.1 della legge n. 89 del 2001 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo, c.d. Legge Pinto), sollevata dalla Corte d’Appello di Napoli per contrasto con gli artt. 11 e 117 c.1 della Costituzione (in relazione agli artt. 6 e 13 della Conv. EDU), nella parte in cui subordina l’ammissibilità della domanda di equa riparazione alla circostanza che il soggetto richiedente abbia presentato nel giudizio presupposto un’istanza di decisione a seguito di trattazione orale ex art. 281-sexies c.p.c. almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di ragionevole durata del processo.

A sostegno della ritenuta rilevanza e non manifesta infondatezza della questione, la Corte d’Appello afferma che si tratterebbe di un rimedio preventivo all’irragionevole durata del processo privo di concreta efficacia acceleratoria del processo stesso, come invece richiesto dalla giurisprudenza della Corte EDU e come ribadito dalla medesima Corte Costituzionale, che proprio per tale ragione ha già dichiarato in relazione al processo amministrativo -con sentenza n. 34 del 2019- l’illegittimità dell’analoga disciplina prevista dall’art. 54 c.2 D.L.  n.112 del 2008 (che prevedeva l’improponibilità della domanda di equa riparazione ove nel giudizio presupposto non fosse stata presentata l’istanza di prelievo).

La Corte Costituzionale, tuttavia, non ritiene fondata la questione, motivando che, a differenza dell’istanza di prelievo nel processo amministrativo (e pure dell’istanza di accelerazione nel processo penale di cui all’abrogato art. 2 c.2-quinquies lett. e) Legge Pinto, anch’esso dichiarato costituzionalmente illegittimo per analoghe ragioni con sentenza n. 169 del 2019), l’istanza di decisione a seguito di trattazione orale ex art. 281-sexies c.p.c. non è un mero invito al giudice volto ad accelerare lo svolgimento del processo (che essendo privo di concreta efficacia sollecitatoria si risolve in un mero adempimento formale), bensì una richiesta di adozione di un modello procedimentale alternativo (come anche quello del procedimento sommario di cognizione), idoneo effettivamente ad accelerare il corso del processo prima che il termine di durata massima sia maturato.

In conclusione, secondo la Corte, ciò che la normativa in questione richiede alla parte del processo in corso è solo un comportamento collaborativo con il giudicante, al quale manifestare la propria disponibilità al passaggio al rito semplificato o al modello decisorio concentrato, in tempo potenzialmente utile ad evitare il superamento del termine di ragionevole durata del processo stesso; mentre l’eventuale limitato margine di compressione della tutela giurisdizionale riflette una legittima opzione del legislatore nel quadro di un bilanciamento di valori di pari rilievo costituzionale; ossia, da un lato, il diritto di difesa (art. 24 Cost.), e dall’altro il valore del giusto processo (art. 111 Cost.) sotto il profilo della ragionevole durata delle liti.

Permangono tuttavia dubbi in chi scrive sulla legittimità, o comunque sull’opportunità, della previsione dell’istanza di decisione ex art. 281-sexies c.p.c. quale condizione di ammissibilità della domanda di equa riparazione, trattandosi di un modello procedurale adatto alla decisione delle sole cause caratterizzate dalla semplicità delle questioni di fatto e di diritto (in tal senso tra i tanti Luiso e Consolo).

Suscita perplessità, dunque, l’imposizione alla parte -a pena della perdita del diritto all’equa riparazione del danno da ritardata giustizia- di una dichiarazione di disponibilità all’adozione di tale modello pure per cause complesse che esigerebbero invece una trattazione scritta; e ciò anche considerando che non di rado l’adozione di quel modello decisionale non è affatto sufficiente a contenere il processo entro i limiti temporali di legge.

A cura di Stefano Valerio Miranda