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giurisprudenza

In tema di compenso del CTU (Cass., Sez. II, 12 novembre 2015, n. 23133)

Il caso affrontato nella sentenza in commento ad oggetto la questione relativa al compenso del CTU.
Con atto di citazione in opposizione a precetto una società si opponeva al precetto notificatole dal CTU unitamente al decreto di liquidazione [decreto che poneva il compenso (€ 1.200,00, oltre accessori) provvisoriamente a carico solidale delle parti].
La società attrice esponeva che il CTU le aveva chiesto il pagamento del dovuto per la quota di 1/2, che essa attrice aveva versato l’importo di 1/3, essendo in numero di tre le parti coinvolte nel giudizio, che in seguito il CTU le aveva domandato il pagamento dell’intero, che la sentenza resa all’esito del giudizio in cui aveva prestato la propria opera il CTU aveva posto le spese di consulenza per 4/5 a carico di un soggetto e per il restante 1/5, in misura uguale, a carico degli altri, tra cui la società esponente, che con successivo precetto il CTU aveva domandato all’esponente il pagamento della parte del residuo avere, non corrisposto dalle altre parti.
Il Giudice di Pace accoglieva l’opposizione.
Proposto appello dal CTU, il Tribunale respingeva l’impugnazione, confermando la pronuncia del Giudice di Pace, sul presupposto che il riparto delle spese di CTU era da intendersi regolato dalla sentenza emessa all’esito del giudizio in cui aveva prestato la propria opera l’ausiliario, sentenza che avrebbe revocato implicitamente il decreto di liquidazione sostituendosi ad esso.
Ricorreva in Cassazione il CTU ed otteneva soddisfazione.
La Cassazione non fa altro che ribadire il suo ormai consolidato orientamento in materia e cioè che il regime del pagamento delle spettanze del CTU prescinde dalla ripartizione dell’onere delle spese tra le parti contenuto in sentenza.
Ne consegue che le parti sono solidalmente responsabili del pagamento delle spese del CTU anche dopo che la controversia sia stata decisa con sentenza, a prescindere dalla ripartizione di dette spese nella stessa stabilita e, quindi, altresì, ove tale ripartizione sia difforme da quella adottata con il decreto di liquidazione.
Quindi, se la parte incisa dall’azione esecutiva del consulente propone opposizione all’esecuzione – come nel caso di specie – facendo valere la, nel frattempo intervenuta sentenza di merito (a lei più favorevole), detta pronuncia non incide né sul già sorto diritto di credito né sulla identificazione dei soggetti onerati.
In conclusione la provvisorietà del decreto di liquidazione comporta che la sua efficacia esecutiva concerne la parte in esso indicata come obbligata e nella misura da esso stabilita: l’ausiliario, finché la controversia non sia decisa con una sentenza che statuisca pure sulle spese di lite, è tenuto a proporre prima la sua domanda nei confronti del soggetto ivi menzionato e nella misura ivi stabilita e, solo ove questi resti inadempiente, può agire nei confronti degli altri.
Una volta che la controversia sia stata risolta con sentenza che pronunci sulle spese, il consulente può far valere le sue ragioni, invece, direttamente nei confronti di ogni parte in virtù della responsabilità solidale delle stesse, indipendentemente dalla definitiva ripartizione dell’onere delle spese stabilita dal giudice.
Alla base di tutto ciò sta il principio secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio è un atto necessario del processo che l’ausiliario pone in essere nell’interesse generale della giustizia e nell’interesse delle parti.

A cura di Silvia Ammannati