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giurisprudenza

L’attestazione di conformità della copia analogica, predisposta per il deposito in Cassazione ex art. 369 c.p.c., può essere redatta dal difensore che ha assistito la parte nel precedente grado di giudizio (Cass., Sez. VI, Ord., 8 maggio 2018, n. 10941)

Con la pronuncia in esame la Corte di Cassazione torna sulla questione degli adempimenti da svolgere in occasione del deposito in cancelleria del ricorso (e, in particolare, sul disposto dell’art. 369, comma II, n. 2, c.p.c.) nel caso in cui il provvedimento oggetto di impugnazione sia stato notificato per via telematica.

La Suprema Corte ribadisce che “il difensore che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato con modalità telematiche, deve depositare nella cancelleria della Corte di cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonchè della relazione di notifica del provvedimento impugnato, allegati al messaggio (da ultimo: Sez. 6 – Ordinanza n. 30765 del 22/12/2017)”.

Nel caso di specie, però, la Corte di Cassazione ha chiarito che il difensore che attesta la conformità della sentenza non deve necessariamente coincidere con il difensore che assiste le parti nel giudizio in cui viene depositata la copia in questione, ma è sufficiente che sia munito di una valida procura alle liti al momento della redazione dell’attestazione di conformità.

Infatti, anche ove sia munito di procura speciale unicamente per un grado di giudizio, il difensore può estrarre copie analogiche dagli originali digitali dopo la pubblicazione della sentenza relativa a quel grado di giudizio; ciò in quanto “egli conserva la rappresentanza processuale della parte (ad esempio, anche ai fini dell’eventuale notificazione dell’impugnazione proposta da controparte) fintanto che il cliente non conferisca, per il grado successivo, il mandato alle liti ad altro difensore”.

Nel caso di specie, però, la Cassazione ha rilevato l’omessa produzione (i) del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto munita di attestazione di conformità, nonché (ii) della relazione di notifica del provvedimento impugnato allegata al messaggio parimenti munita di attestazione di conformità.

Da tali omissioni la Suprema Corte ha fatto derivare l’inammissibilità del ricorso per tardività: “invero, non potendo tener conto a causa del difetto di attestazione di conformità, della data in cui la sentenza impugnata è stata notificata ai ricorrenti, la prova “di resistenza” avrebbe dato esito favorevole solamente qualora il ricorso fosse stato comunque notificato nel rispetto del termine per impugnare “breve” di cui all’art. 325 cod. proc. civ. a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza, ossia entro il 28 ottobre 2016 (venerdì). In conclusione, il ricorso è inammissibile perchè tardivo”.

A cura di Giulio Carano