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giurisprudenza

L’avvocato che paga solo compensi a domiciliatari non deve versare l’IRAP (Cass., Sez. VI, Ord., 23 luglio 2019, n. 19775)

Con l’ordinanza in commento, pubblicata il 23 luglio scorso, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla debenza o meno dell’IRAP da parte dell’avvocato che paga compensi a colleghi di un altro distretto e a sostituti.
Nello specifico, la vicenda sottoposta al vaglio dei Giudici di legittimità traeva origine dal ricorso promosso da un avvocato avverso un avviso di accertamento notificatogli dall’Agenzia delle Entrate per omesso versamento dell’IRAP. Il ricorso veniva accolto in primo grado, mentre in secondo grado la pronuncia di prime cure veniva integralmente riformata, in quanto il Collegio regionale riteneva che l’essersi avvalso della stabile collaborazione di altri professionisti per l’espletamento dell’attività professionale fosse sufficiente ad integrare il requisito della “autonoma organizzazione” richiesto dalla legge ai fini dell’assoggettamento ad IRAP.
Avverso la sentenza di appello, il legale proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo che l’essersi avvalso solo di collaborazioni esterne di colleghi quali meri domiciliatari extradistretto non potesse certo integrare il presupposto dell’autonoma organizzazione.
Investita della questione, la Suprema Corte ha ritenuto di condividere le eccezioni formulate dal contribuente, ritenendo che la C.T.R. avesse errato nel non tenere in considerazione alcuna la natura e la rilevanza dell’attività concretamente svolta dai terzi collaboratori dell’avvocato ricorrente.
Nello specifico, il Collegio di legittimità ha ricordato come sulla res controversa si fossero già pronunciate le Sezioni Unite andando a comporre un precedente contrasto giurisprudenziale, e chiarendo in maniera pressoché definitiva quali fossero i presupposti per il pagamento dell’IRAP.
In maggiore dettaglio, la Cassazione è partita dal presupposto per cui con la sentenza n. 9451/16, le Sezioni Unite avevano affermato il seguente principio di diritto con riguardo al presupposto dell’IRAP: “il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446, il cui accertamento è rimesso al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.
Oltre a ciò, la Corte ha ulteriormente ricordato come con propri precedenti arresti fosse già stato precisato che “il presupposto dell’autonoma organizzazione, richiesto dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, ricorre quando il professionista responsabile dell’organizzazione si avvalga, pur senza un formale rapporto di associazione, della collaborazione di un altro professionista stante il presumibile intento di giovarsi delle reciproche competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio (Cass. n. 1136/2017)”, e che “in tema d’IRAP, non sono indicativi del presupposto dell’autonoma organizzazione i compensi corrisposti da un avvocato per le domiciliazioni presso i colleghi, trattandosi di prestazioni strettamente connesse all’esercizio della professione forense, che esulano dall’assetto organizzativo della relativa attività (Cass. ord. n. 22695/16), ovvero i compensi corrisposti a colleghi del professionista in caso di sostituzioni (Cass. n. ord. n. 20088/16), oppure a consulenti esterni (Cass. n. 20610/16; Cass. 26332/2017; Cass. 719/2019), in quanto trattasi di esborsi che non rilevano di per sé a fini IRAP”.
Alla luce di tali considerazioni, i Giudici di legittimità hanno ritenuto che la C.T.R. avesse errato nel ritenere integrato l’elemento dell’autonoma organizzazione in relazione alla collaborazione intrapresa con altri professionisti in maniera ripetuta, mancando ogni accertamento in merito all’effettiva natura e alla rilevanza dell’attività concretamente svolta dai terzi collaboratori.
A cura di Cosimo Cappelli

Allegato:
19775-2019