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giurisprudenza

Le Sezioni Unite sull’istanza di remissione in termini ex art. 153 c.p.c., comma 2, con riferimento ai termini di impugnazione. Il domiciliatario, anche se versa in condizioni di salute non ottimali, ha comunque l’onere di informare i clienti (e il dominus) sulle notifiche ricevute (Cass., Sez. Un., 18 dicembre 2018, n. 32725)

Con la sentenza in esame le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi sull’istanza di remissione in termini avanzata sul presupposto della tardiva comunicazione, da parte del domiciliatario, della comunicazione di una sentenza del CNF.

Nel caso di specie il domiciliatario avrebbe trasmesso al dominus la sentenza irrogativa di una sanzione a carico di quest’ultimo solo un giorno prima della scadenza del termine per proporre ricorso in Cassazione (termine che scadeva il 30.12.2017).

In data 12.1.2018 l’avvocato incolpato ha proposto alla Corte di Cassazione istanza di remissione in termini (non anticipata da notifica del ricorso), in ordine alla quale il Primo Presidente ha dichiarato il non-luogo a provvedere e ha affermato che competente a pronunciarsi su tale istanza poteva essere solo il Collegio chiamato a decidere il merito del ricorso.

In data 21.3.2018 l’avvocato ha notificato il ricorso avverso la decisione del CNF, formulando contestuale istanza di remissione in termini fondata su documentazione comprovante la malattia del domiciliatario nel periodo in cui questi avrebbe dovuto ricevere e trasmettere la decisione poi tardivamente impugnata.

Le Sezioni Unite hanno ribadito, in primo luogo, “che l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 184 bis c.p.c., abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, e sostituito dalla generale previsione di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2, trova applicazione, alla luce dei principi costituzionali di tutela delle garanzie difensive e del giusto processo, non solo con riguardo alla decadenza dai poteri processuali interni al giudizio, ma anche a situazioni esterne al suo svolgimento, quale la decadenza dal diritto di impugnazione”.

Pur rilevandone l’astratta ammissibilità, la Suprema Corte ha affermato l’infondatezza dell’istanza di remissione in termini in discorso, sul presupposto che la documentazione medica allegata dimostrerebbe un generico “stato di salute non ottimale, unito ad astenia”, non rilevante come legittimo impedimento e “a fronte del quale il professionista avrebbe dovuto e potuto organizzarsi affinchè le attività ordinarie (come quella di informare i clienti sull’esito dei giudizi in corso e sulle notifiche ricevute di atti ad essi relativi) potessero svolgersi senza interruzioni”.

Non solo: le Sezioni Unite hanno affermato che, nel caso di specie, l’istanza non poteva essere accolta anche perché “ai fini della fruizione di un eventuale provvedimento di rimessione in termini è richiesta infatti la tempestività dell’iniziativa della parte, da intendere come immediatezza della reazione al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa”; ciò mentre l’avvocato ha presentato istanza di remissione in termini (inammissibile) solo circa due settimane dopo aver avuto conoscenza della decisione del CNF.

Infine le Sezioni Unite hanno colto l’occasione anche per affermare il principio secondo cui “anche nel procedimento disciplinare, qualora il professionista incolpato decida di non difendersi personalmente ma di farsi assistere da un altro avvocato, eleggendo domicilio presso il medesimo o presso un terzo avvocato, il provvedimento conclusivo deve essere notificato alla parte presso l’avvocato domiciliatario, secondo le regole ordinarie, e non direttamente alla parte”.

A cura di Giulio Carano