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giurisprudenza

Legittima la condanna alla restituzione della somma purchè circoscritta a quanto indebitamente riscosso dall’apparentemente legittimato (Cass., Sez. III, Ord. 9 novembre 2020 n. 25084)

Con l’ordinanza in commento la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso contro la sentenza con cui la Corte territoriale aveva confermato la condanna del ricorrente alla restituzione allo studio legale di una somma indebitamente percepita, oltre ad eventuali maggiori importi che lo studio avrebbe documentato di aver versato o restituito all’opponente a seguito della revoca del decreto ingiuntivo.

La vicenda trae origine da un decreto ingiuntivo che uno studio legale aveva ottenuto contro una Società per prestazioni professionali svolte in favore della stessa.

Detta Società aveva proposto opposizione chiedendo l’estensione del contraddittorio nei confronti di Tizio avendo costui fornito espressa manleva nei confronti della Società stessa per l’ipotesi in cui quest’ultima fosse stata condannata a pagare allo studio legale, nuovamente, quanto già versato in suo favore.

Tizio, costituendosi in giudizio, sosteneva che l’incarico professionale sarebbe invero stato conferito non allo studio legale ma a lui personalmente, sicchè la somma versatagli dalla società opponente avrebbe costituito il corrispettivo di tale attività.

Il Tribunale qualificava il rapporto intercorso tra la società e lo studio legale come appalto di servizi e non come incarico professionale legale ed escludendo – in mancanza di prova – sia l’appartenenza del Tizio a  detto studio, sia l’esistenza di un accordo associativo tra i due soggetti, in ordine alla spettanza dei compensi.

In conseguenza di ciò, accoglieva l’opposizione revocando il decreto ritenendo sussistente, nella specie, l’ipotesi del pagamento al creditore apparente, ovvero Tizio, il quale veniva a sua volta condannato a restituire allo studio legale la somma percepita indebitamente.

Il Giudice di Appello confermava la decisione di primo grado.

Tizio ricorreva quindi in Cassazione lamentando l’errata qualificazione del rapporto intercorso tra la società e lo studio legale come appalto di servizi, giacchè siffatto rapporto presuppone la qualificazione dell’attività come di natura imprenditoriale, attività preclusa ad un’associazione professionale di avvocati con conseguente nullità del contratto.

Lamentava inoltre vizio di ultrapetizione per essere stato condannato non solo al pagamento della somma portata dal decreto ingiuntivo ma anche di eventuali maggiori importi che lo studio avesse dimostrato di aver versato o restituito all’opponente.

La Corte di Cassazione, ritiene inammissibile il primo motivo di ricorso rilevando come la censura di nullità non fosse mai stata avanzata da Tizio nei precedenti gradi di giudizio.

Ritiene, invece, ammissibile e fondato il secondo motivo di ricorso, rilevando come l’aver ricondotto la fattispecie in esame al caso di pagamento al creditore apparente avrebbe dovuto circoscrivere la condanna di Tizio alla restituzione di quanto indebitamente riscosso dall’apparentemente legittimato, con esclusione di eventuali maggiori importi.

Pertanto, la Corte cassa la sentenza impugnazione relativamente al motivo di ricorso accolto e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. condanna Tizio a restituire allo studio legale la sola somma di cui al decreto ingiuntivo, da costui illegittimamente incassata.

A cura di Corinna Cappelli