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giurisprudenza

L’oggettiva imperizia del legale non esime l’assistito dal verificare personalmente la decorrenza dei termini processuali perentori (Cass., Sez. VI Pen., 5 maggio 2016, n. 18716)

La problematica giuridica sottesa al caso in esame concerne la possibilità, per un imputato condannato in primo grado, di poter essere rimesso in termini qualora il suo Avvocato di fiducia ometta, per imperizia (rectius: errore di diritto), di proporre impugnazione alla CdA competente entro i termini perentori di decadenza previsti dal codice di rito.

Atteso il contrasto giurisprudenziale presente in merito alla fattispecie de qua, la Corte di Cassazione, tra le altre, è stata sollecitata dal ricorrente ad investire le Sezioni Unite dell’esame dell’anzidetta questione.

Nondimeno, la VI Sezione ha ritenuto di dover aderire all’indirizzo giurisprudenziale maggioritario secondo il quale l’errore di diritto compiuto dall’Avvocato di fiducia sui termini per impugnare la sentenza di condanna, non è idoneo a rappresentare un “caso fortuito” o una “forza maggiore”, previsti dall’art. 175 c.p.p., quali cause che permettono la restituzione in termini per poter adempiere all’atto desiderato.

La Corte di Cassazione precisa che la decadenza di un termine processuale non può ritenersi incolpevole e giustificare la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto. In particolare, la Corte ricorda che, ai sensi dell’art. 571 c.p.p., la facoltà di impugnare spetta personalmente in via autonoma anche all’imputato condannato, di talchè questi non va esente da colpa in caso di mancato rispetto dei termini di impugnazione derivante da un mero errore di diritto del legale di fiducia.

A cura di Devis Baldi