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giurisprudenza

Nella liquidazione delle spese di lite il giudice deve motivare adeguatamente la scelta di discostarsi in misura apprezzabile dai valori medi dei parametri, e pur potendo scendere anche al di sotto dei minimi deve rispettare il decoro della professione forense (Cass. Sez. III, Ord., 23 aprile 2020, n. 8146)

La sentenza in commento origina da un’opposizione agli atti esecutivi, promossa da un terzo pignorato avverso l’ordinanza di assegnazione del credito, che viene respinta dal Tribunale di Benevento, con conseguente condanna alle spese in favore di creditore procedente e debitore esecutato.

Senonché, entrambi quest’ultimi propongono ricorso avverso tale sentenza (in relazione all’art. 360 c.1 n. 4 c.p.c.), per avere il giudice a quo liquidato il compenso dovuto per l’attività svolta in favore della parte vittoriosa al di sotto dei limiti previsti dal D.M. n. 55 del 2014, e ciò senza dettare alcuna motivazione a giustificazione della scelta degli importi liquidati.

Al riguardo, la Corte afferma di condividere e voler ribadire l’orientamento di legittimità secondo cui, in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.M. n. 55 del 2014, non sussistendo più il vincolo legale dell’inderogabilità dei minimi tariffari, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica standard del valore della prestazione professionale (Ord. n. 30286 del 15/12/2017).

Dunque, solo in caso di scostamento apprezzabile dai valori medi della tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014 il giudice è tenuto a indicare i criteri che hanno guidato la liquidazione del compenso; scostamento che può anche superare i valori massimi o minimi determinati in forza delle percentuali di aumento o diminuzione ivi previste, ma fermo restando in quest’ultimo caso il limite di cui all’art. 2233 c.2 c.c., che preclude di liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche non consone al decoro della professione (in tale prospettiva vengono richiamate Cass. n. 25804/2015, Cass. n. 24492/2016 e Cass. n. 20790/2017).

In difetto, avverso la liquidazione dei compensi potrà denunciarsi in sede di legittimità la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.1 n. 4 c.p.c., in quanto resa in base a motivazione solo apparente o comunque in violazione del c.d. minimo costituzionale della motivazione; ovvero per error in iudicando, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., in ipotesi di violazione del limite di cui al citato art. 2233 c.2 c.c.

Nel caso di specie, il giudice a quo aveva liquidato le spese di lite in misura pari a complessivi € 1.150,00, in relazione a una causa del valore ricompreso nello scaglione da € 52.001,00 a € 260.000,00, e quindi al di sotto degli importi previsti nei parametri tariffari previsti dal D.M. n. 55 del 2014; il tutto senza esporre alcuna apposita e specifica motivazione a sostegno della scelta di liquidazione operata.

Pertanto, la Corte accoglie i ricorsi e cassa la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Benevento in persona di altro giudice (in senso conforme alla presente sentenza, di recente, Cassazione civile sez. VI – 10/04/2020, n. 7780, in questa rivista, e Cassazione civile sez. II – 24/01/2020, n. 1617).

A cura di Stefano Valerio Miranda