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giurisprudenza

Nessuna norma impone all’avvocato di avere uno ‘studio’ per esercitare la professione (Cons. Stato, Sez. V, 21 gennaio 2021, n. 653)

Con la recente sentenza n. 653 del 21 gennaio 2021, il Consiglio di Stato, argomentando in tema di barriere architettoniche, si è pronunciato sulla necessità per gli avvocati di avere uno studio dedicato all’esercizio della propria professione.

Nello specifico, la controversia vedeva contrapposti un Ordine degli Avvocati ed un Comune italiano che, tramite delle delibere consiliari, aveva ricompreso fra gli edifici aperti al pubblico anche gli studi professionali di avvocati iscritti nell’elenco dei difensori d’ufficio e abilitati al gratuito patrocinio, obbligandone quindi i titolari a mettersi in regola con la disciplina sulle barriere architettoniche.

In maggiore dettaglio, il predetto Ordine professionale aveva impugnato le delibere comunali davanti al TAR, il quale ne aveva tuttavia rigettato le doglianze, sostenendo che gli oneri imposti dalle delibere contestate riguardasse solo i difensori di ufficio nonché quelli abilitati al gratuito patrocinio, evidenziando come, a queste due categorie, i legali vi appartenessero per loro scelta, avendo richiesto l’iscrizione nel relativo elenco. Inoltre, per lo stesso Tribunale Amministrativo, l’imposizione delle opere per il superamento delle barriere architettoniche avrebbe realizzato una sorta di equilibrio fra il vantaggio della corresponsione del compenso da parte dello Stato ed il relativo onere.

La decisione veniva, quindi, impugnata dinanzi al Consiglio di Stato, il quale si mostrava di contrario avviso rispetto al collegio di prime cure, dando rilevanza centrale al fatto che né la legge professionale né il codice deontologico forense obbligano l’avvocato, per esercitare la professione, ad avere la disponibilità di un ufficio a ciò dedicato. Viceversa, secondo il Consiglio di Stato, la Legge Professionale Forense “prevede solo che egli abbia un ‘domicilio’, ovvero in termini semplici un recapito ove essere reperibile e ricevere gli atti, ma non vieta che esso, al limite, coincida con la propria abitazione”.

Conseguentemente, l’apertura di uno studio, come comunemente inteso, rientra nella libera scelta del professionista.

Oltre a ciò, il collegio ha altresì chiarito che lo studio legale non è di per sé luogo pubblico o aperto al pubblico, come si desume dalla costante giurisprudenza, secondo la quale commette il reato di violazione di domicilio chi acceda allo studio di un avvocato, o vi si trattenga, contro la volontà del titolare. Conseguentemente, nella specifica disciplina delle barriere architettoniche, il concetto di luogo aperto al pubblico non comprende, come in prima battuta affermato dal TAR, i luoghi privati chiusi alla generalità delle persone, ma accessibili a una data categoria di aventi diritto.

A cura di Cosimo Cappelli

 

Allegato:
653-2021