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giurisprudenza

Niente IRAP per l’avvocato che lavora come mero collaboratore in uno studio associato (Cass., Sez. VI, Ord., 29 settembre 2016, n. 19325)

Con la pronuncia che oggi si commenta, torniamo ad occuparci nuovamente di assoggettabilità ad IRAP dell’attività prestata dagli avvocati.

Nello specifico, nel caso di specie la Suprema Corte si è occupata dell’attività di collaborazione svolta da un avvocato in favore di un importante studio legale, giungendo alla conclusione per cui non è sufficiente, ai fini dell’applicazione dell’IRAP, che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che tale struttura sia da lui diretta in qualità di titolare o socio o che, comunque, sia al suo servizio.

Secondo la Cassazione, infatti, affinchè possa ravvisarsi il requisito della “autonoma organizzazione” in capo al professionista (che, com’è noto, costituisce il presupposto per l’applicazione del tributo in questione), non è sufficiente che questi si avvalga di una struttura organizzata di beni e servizi, posto che “questa Corte ha di recente ribadito che solo «quando l’attività è esercitata dalla società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma del D.Lgs. n. 446 del 19997, art. 3, (…) essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto dell’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione» (Cass., SS.UU., 14 aprile 2016, n. 7371; conf. Cass., nn. 15317/13, 21669/10, 16784/10)”. Tuttavia, tale ipotesi era stata chiaramente esclusa da parte dei Giudici di seconde cure, con giudizio insindacabile in sede di legittimità in quanto correttamente motivato.

In definitiva, in tutti quei casi di professionisti che svolgono la propria attività di collaborazione nei confronti di uno studio associato che finisce per esserne pressoché l’unico cliente, il rapporto risulta di fatto rovesciato, nel senso che è il professionista stesso ad essere parte di una struttura da altri organizzata, la quale comprende, oltre ai dipendenti ed ai beni strumentali necessari per lo svolgimento dell’attività professionale, anche la collaborazioni di altri professionisti non associati. I quali, autonomamente considerati, non dispongono né di beni strumentali di particolare rilevo e/o valore, né di spese per propri dipendenti e/o collaboratori.

A cura di Cosimo Cappelli

Allegato:
19325-2016