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giurisprudenza

Non è diffamatoria la condotta dell’avvocato che si limita a criticare l’operato di un collega, usando un linguaggio tecnicamente corretto e non trasmodando in un attacco diretto alla persona (Cass., Sez. V Pen., 4 gennaio 2021, n. 61)

Con la sentenza in commento la Suprema Corte torna a pronunciarsi sul bilanciamento tra il diritto di critica, inteso come espressione della più ampia libertà di manifestazione del pensiero, ed il reato di diffamazione, con la relativa scriminante di cui all’art. 51 c.p.. In particolare, muovendo dall’assunto in forza del quale il giudizio critico è per sua natura parziale, ideologicamente orientato e necessariamente influenzato dal filtro personale, viene evidenziata la necessità di contestualizzare le espressioni ingiuriose e verificare se i toni utilizzati dall’agente risultino pertinenti al tema in discussione, oltre che proporzionati al fatto narrato ed al concetto da esprimere. Quanto al caso di specie i Giudici di legittimità ritengono che fossero state manifestate critiche legittime nei confronti dell’operato professionale di un collega, funzionali all’esplicita finalità di disapprovazione che voleva essere espressa, risultando pertinenti al tema della polemica stessa e senza che le parole utilizzate fossero trasmodate in un attacco diretto alla persona. Viene dunque affermata l’inammissibilità del ricorso, in quanto manifestamente infondato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese processuali oltre al pagamento di una somma a favore della Cassa delle Ammende.

 

 

A cura di Elena Borsotti