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giurisprudenza

Processi lunghi: l’equa riparazione può essere chiesta anche durante il processo (Corte Cost., 26 aprile 2018, n. 88)

Con la recente sentenza n. 88 del 26 aprile 2018, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 4 della Legge n.89/2011 (c.d. legge Pinto sull’equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo), nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza di procedimento.

La questione era stata sollevata dalla Corte di Cassazione con quattro successive ordinanze di rimessione, poi riunite, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 co. II della Costituzione, nonché all’art. 117 co. I in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. La Suprema Corte era stata a sua volta chiamata ad esprimersi da altrettanti tribunali di merito riguardo la possibilità di esperire la domanda di equa riparazione – per irragionevole durata del processo – anche prima della definizione del provvedimento di chiusura del giudizio presupposto (lite pendente), aspetto quest’ultimo non contemplato dalla disciplina dettata dalla legge Pinto.

E’ opportuno sottolineare che la precedente sentenza n. 30/2014 della Corte Costituzionale aveva già indirizzato un preciso monito al legislatore invitandolo ad intervenire sul punto. La Corte aveva infatti ravvisato nel differimento dell’esperibilità del rimedio all’esito del processo, una grave violazione dei principi del giusto processo e della sua effettività sanciti in Costituzione e riconosciuti a livello sovranazionale nella Convenzione europea.

Peraltro nella pronuncia presa ora in esame, si ricorda come anche il successivo intervento legislativo (Legge n. 208/2015) posto a parziale riforma della legge Pinto, prevedesse quali condizioni di procedibilità della domanda alcuni “rimedi preventivi” che non avevano risolto né inciso sostanzialmente sull’effettività del diritto ad ottenere un’equa riparazione.

Ebbene la Corte, posta nuovamente di fronte ad un irrisolto vulnus costituzionale, è intervenuta con una sentenza manipolativa di tipo additivo, rinviando alla prudenza interpretativa dei giudici di merito il compito di applicare in modo costituzionalmente orientato la Legge Pinto e auspicando un nuovo e risolutivo intervento del legislatore in modo da rendere maggiormente funzionale la tutela del diritto alla ragionevole durata del processo.

 

A cura di Brando Mazzolai