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giurisprudenza

Sulla (presunta) responsabilità professionale dell’avvocato per errata vocatio in ius, strategia processuale inadeguata ed obbligo di dissuasione inadempiuto (Cass., Sez. III, Ord., 03 settembre 2019, n. 21982)

Alcune società agivano in giudizio contro un avvocato chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per responsabilità professionale, in quanto, a loro dire, il legale, dapprima, le aveva consigliate di introdurre un giudizio prospettando buone probabilità di successo, dopodiché, in seguito allo scambio degli atti introduttivi, le aveva invitate a rinunciare agli atti e ciò avrebbe comportato loro un danno poiché uno dei convenuti non aveva accettato la rinuncia transattiva di queste ed aveva perciò ottenuto una pronuncia di condanna alle spese in loro danno.

Nei primi gradi del giudizio i Giudici escludevano la responsabilità del professionista, sicché le società ricorrevano avanti la Corte di Cassazione, lamentandosi del fatto che i) solo per un grave errore professionale, il legale aveva evocato in giudizio il convenuto in favore del quale era stata infine pronunciata la predetta condanna alle spese; ii) il legale aveva, in ogni caso, introdotto una domanda errata e/o, comunque, adito un giudice errato; iii) il legale, infine, non le aveva dissuase dall’intraprendere un costoso giudizio, visto che poi le aveva sollecitate a rinunciare al medesimo e ad accollarsi non solo le spese della sua parcella, ma anche le spese di lite del convenuto che non aveva aderito alla loro rinuncia transattiva.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso in quanto, riguardo al primo profilo, osserva che, in entrambi i giudizi di merito, era stato rilevato che il convenuto predetto risultava in astratto legittimato passivo e quindi era stato correttamente chiamato in giudizio.

Riguardo il secondo aspetto, la Corte esclude la responsabilità del professionista in quanto, da una parte, la valutazione circa l’adeguatezza della strategia processuale doveva essere esclusa nel caso di specie vista la presenza di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentavano margini di opinabilità, e, dall’altra parte, poiché le ricorrenti non avevano fornito la prova che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non fosse opinabile, nel caso di specie, quale fosse la giurisdizione.

Infine, con riferimento al terzo motivo, la Corte rigetta il ricorso poiché, posto che l’obbligo di dissuasione da parte del difensore – invocato dalle ricorrenti – si fonda sulla ricorrenza di una domanda che risulti chiaramente inammissibile per assenza dei presupposti previsti dalla legge o completamente infondata, nel caso di specie tanto il giudice di prime cure quanto la Corte d’Appello avevano escluso che l’avvocato avesse intrapreso un’azione prima facie inammissibile e/o infondata. Inoltre, la Corte rileva che, anche ammesso che il difensore avesse accettato una causa per la quale prevedeva già dall’inizio la soccombenza dei suoi assistiti, non potendo, poi, disinteressarsene del tutto, con il pretesto che si trattava di una “causa persa”, costui aveva comunque tenuto un comportamento conforme all’obbligo di tutelare i loro interessi inducendoli ad addivenire ad un componimento bonario della lite.

Peraltro, conclude la Corte, anche ammesso che sul professionista gravasse un indimostrato obbligo di consulenza preliminare, sarebbe stato necessario, semmai, dimostrare che, in applicazione del parametro della diligenza professionale (art. 1176 c.c., comma 2), nell’adempiere siffatta obbligazione, egli avesse omesso di prospettare loro tutte le questioni di diritto e di fatto atte ad impedire l’utile esperimento dell’azione a causa dell’ignoranza di istituti giuridici elementari e fondamentali ovvero di incuria ed imperizia, insuscettibili di giustificazione.

A cura di Alessandro Marchini