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giurisprudenza

Sulla ricusazione del Giudice per grave inimicizia o causa pendente (Cass., Sez. Un., 26 luglio 2017, n. 18395)

Il caso affrontato nella sentenza in commento è quello di un avvocato che ha presentato “interpello per astensione e, in difetto, ricorso per ricusazione” di due consiglieri componenti del collegio chiamato a pronunciarsi su un suo ricorso.
Il legale sostiene che sussistano ragioni di astensione obbligatoria dei suddetti consiglieri ai sensi dell’art. 51, comma 1, nn. 1 e 3, c.p.c.:
1) per avere gli stessi, quali componenti di collegi in altri giudizi nei quali egli era parte, contribuito all’assunzione di decisioni a lui sfavorevoli gravemente errate tali che “neppure il più sprovveduto degli studenti universitari della materia sarebbe giunto a formulare le anomalie” lamentate, non spiegabili “se non in termini di aprioristica linea reiettiva e di inimicizia grave per carenza di imparzialità e terzietà”,
2) per il fatto che pende nei confronti dei medesimi consiglieri, davanti al tribunale, azione civile di responsabilità ai sensi della Legge n. 117 del 1988.
Investita della questione, la Suprema Corte a Sezioni Unite respinge il ricorso precisando:
– quanto alla prima delle ragioni prospettate dal legale, che l’inimicizia di cui all’art. 51, comma 1, n. 3, c.p.c. deve riguardare “rapporti estranei al processo” e non può essere dimostrata sulla base di soli comportamenti processuali del giudice, ritenuti anomali dal ricusante, il quale deve indicare fatti e circostanze concrete che rivelino l’esistenza di ragioni di rancore o di avversione;
– quanto alla seconda delle ragioni prospettate dal legale, che la “causa pendente” tra ricusato e ricusante, ai sensi dell’art. 51, comma 1, n. 3, c.p.c. non può essere costituita dal giudizio di responsabilità di cui alla Legge 117 del 1988 in quanto quest’ultimo non è un giudizio nei confronti del magistrato, bensì nei confronti dello Stato.

A cura di Silvia Ammannati