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parere

Avvocato. Criteri per il legale di un Ente Pubblico per determinare il valore delle controversie.

E’ stato chiesto quale debba essere il criterio per il legale di un Ente Pubblico per determinare il valore delle controversie e/o dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica che abbiano per oggetto l’annullamento di un provvedimento amministrativo inerente una gara di appalto per la realizzazione di un’opera pubblica e/o la risoluzione del successivo contratto di appalto stipulato tra l’Ente Pubblico e l’impresa aggiudicataria nonché per determinare il valore della pratica che abbia per oggetto la redazione di un parere scritto relativo alle problematiche afferenti l’esecuzione del contratto di appalto stipulato a seguito della gara o il comportamento da assumere da parte dell’Ente Pubblico in esito ad un atto di diffida notificato da Società non aggiudicataria che, contestando le risultanze della gara, abbia chiesto la risoluzione del contratto di appalto e/o la sospensione dei lavori.
Il Consiglio dell’Ordine ha precisato che, relativamente alla determinazione del valore in relazione ad un procedimento dinanzi al Giudice Amministrativo avente per oggetto l’annullamento di un atto amministrativo, la Corte di Cassazione, Sez. II Civile, con sentenza 30 Gennaio 1997 n. 932, ha statuito che la controversia deve ritenersi di valore indeterminabile, affermando, in particolare che (non avendo avuto, tra l’altro, la controversia esaminata in quel caso dalla Suprema Corte, per oggetto una materia relativa a diritti attribuiti alla competenza esclusiva e di merito del Giudice Amministrativo) il valore della causa va desunto dal “petitum” della domanda in relazione alla “causa petendi”, senza poter fare riferimento ad eventuali riflessi economici conseguenti all’accertamento dell’illegittimità dell’atto, quali per esempio il mancato guadagno patito dalla ricorrente in conseguenza dell’atto di cui era stato richiesto l’annullamento, dovendosi considerare di valore indeterminabile ogni causa le cui domande non abbiano un immediato contenuto economico e non potendo, dunque, avere rilevanza ai fini della determinazione del valore gli interessi economici sottesi e/o conseguenti ad un’eventuale pronuncia di annullamento dell’atto amministrativo.
Tale principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione, Sez. II Civile, con la successiva sentenza 19 Agosto 2003 n. 12178, nella quale, peraltro, in buona sostanza, la Suprema Corte si è limitata a richiamare la statuizione già espressa nella precedente sopra menzionata sua pronuncia.
In epoca anteriore, con pronuncia del 22 Dicembre 1989, il Tribunale di Napoli aveva statuito che la controversia amministrativa concernente l’osservanza di norme procedurali antecedenti l’espletamento della gara di appalto, anche se condizionanti il successivo provvedimento di aggiudicazione, è di valore indeterminabile.
Di recente, tuttavia, il Tribunale di Firenze, con sentenza pronunciata dal Giudice Monocratico Dott.ssa Breggia in data 16 Dicembre 2007 e depositata in data 18 Gennaio 2008, ha rilevato che nel caso di impugnazione dinanzi al Giudice Amministrativo dell’atto amministrativo concernente l’aggiudicazione di un appalto di un’opera pubblica, se è vero che il “petitum” immediato è costituito dall’annullamento dell’atto stesso, è vero anche che in questo caso emerge l’interesse economico di cui è portatrice la parte e che si sostanzia nel valore dell’appalto, per cui il valore della pratica deve essere determinato con riferimento all’importo dell’offerta.
Occorre, altresì, tener conto del fatto che, come sottolineato nel Parere del Consiglio Nazionale Forense del 6 Giugno 2005, l’articolo 6 della Tariffa Giudiziale Forense approvata con il D.M. 8 Aprile 2004, superato ogni riferimento (contenuto, invece, nel previgente D.M. 5 Ottobre 1994) alla natura di diritto o di interesse legittimo della posizione giuridica fatta valere in giudizio, prevede testualmente che: a) per la liquidazione a carico del soccombente si applica il criterio sancito dal primo comma del medesimo articolo, e quindi la determinazione sulla base dei principi desumibili dal codice di procedura civile “quando ciò sia compatibile con l’oggetto della controversia o con la natura del rapporto sostanziale dedotto in giudizio o correlato al provvedimento impugnato; in ogni caso si deve tener conto dell’interesse sostanziale al quale apprestare tutela (comma 3)”; b) nella la liquidazione degli onorari a carico del cliente, per la determinazione del valore effettivo della controversia, deve aversi riguardo al valore dei diversi interessi perseguiti dalle parti (comma 4).
Considerato che nel processo amministrativo, nella maggior parte dei casi, non è possibile fare applicazione dei parametri di determinazione del valore della controversia dettati dal Codice di Procedura Civile e che, in forza della (nuova) disposizione succitata, occorre, quindi, fare riferimento all’interesse sostanziale dedotto in giudizio, da un lato, la (restrittiva) giurisprudenza della Suprema Corte sopra menzionata può ritenersi superata e non più attuale, ma, dall’altro lato, la determinazione del valore del suddetto interesse sostanziale, deve essere effettuata in modo rigoroso e tenendo conto della domanda giudiziale in correlazione alla posizione (sostanziale, oltre che processuale) del soggetto che tale domanda propone.
Ciò in quanto questo Consiglio ritiene che, relativamente ad una controversia dinanzi al Giudice Amministrativo, o anche a un procedimento concernente un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (riguardo al quale, stante l’espresso richiamo di cui all’articolo 6 n. 3 della Tariffa Giudiziale Forense, devono applicarsi gli onorari previsti per il giudizio amministrativo), ai fini dell’individuazione del valore della controversia, dovendo, comunque, applicarsi i principi stabiliti dagli artt. 10 e segg. C.p.c., non si può prescindere dall’oggetto del “petitum”, visto che il suindicato art. 10 C.p.c. dispone, appunto, che il valore della controversia si determina “dalla domanda”.
Pertanto, qualora la domanda proposta dal ricorrente sia limitata all’annullamento dell’atto amministrativo, occorre verificare se detto annullamento abbia una diretta e determinabile incidenza economica sul cliente dell’avvocato, nel senso che da tale annullamento possa derivare un immediato vantaggio economico o un immediato pregiudizio economico per il cliente medesimo, determinabili nel loro rispettivo ammontare, con l’ulteriore precisazione che relativamente alla stessa pratica detto interesse può variare rispetto alle diverse parti in causa, tant’è vero che l’art. 6 della Tariffa Giudiziale Forense, come sopra già evidenziato, dispone espressamente che “nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, per la determinazione del valore effettivo della controversia, deve aversi riguardo al valore dei diversi interessi perseguiti dalle parti” (per esempio, se viene richiesto l’annullamento dell’aggiudicazione di un appalto di un’opera pubblica, l’interesse della parte che aveva conseguito l’aggiudicazione dell’appalto è certamente valutabile in riferimento al valore, cioè al corrispettivo, dell’appalto stesso, mentre l’interesse di un soggetto che quell’appalto non si era aggiudicato e che, in conseguenza dell’annullamento, potrebbe partecipare ad una nuova gara, di esito peraltro incerto, dovrebbe considerarsi allo stato di valore indeterminato).
E’ ovvio, tuttavia, che se il ricorrente formula anche una domanda (determinata) di risarcimento del danno ovvero di risoluzione e/o di caducazione del contratto di appalto come conseguenza dell’annullamento dell’atto amministrativo, il “petitum” avrebbe come oggetto immediato pure tali ulteriori questioni caratterizzate da uno specifico contenuto economico al quale occorre, quindi, fare riferimento per determinare il valore della controversia, ovverosia l’importo dei danni richiesti o l’importo del corrispettivo dell’appalto.
Nel caso di domanda di risoluzione e/o di caducazione del contratto di appalto proposta contro l’Ente Pubblico dinanzi al Giudice Amministrativo unitamente a quella di annullamento dell’atto amministrativo potrebbe sussistere la carenza di giurisdizione del Giudice Amministrativo, dato che, in forza della più recente giurisprudenza della Suprema Corte, le controversie concernenti la risoluzione di un contratto della Pubblica Amministrazione dopo la stipula del contratto stesso, anche successivamente all’introduzione delle disposizioni di cui alla Legge 21 Luglio 2000 n. 2005 e alla successiva introduzione delle disposizioni di cui al Dec. Leg.vo 12 Aprile 2006 n. 163, sono tuttora devolute alla giurisdizione del Giudice Ordinario, ma, se la questione forma oggetto, comunque, della domanda del ricorrente, l’eventuale carenza di giurisdizione del Giudice adito non rileverebbe ai fini della determinazione del valore, tanto più se parliamo del compenso del difensore dell’Ente Pubblico, ovverosia del soggetto che resiste alla domanda e non del soggetto che la domanda stessa ha proposto.
Occorre, altresì, tener conto del fatto che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con decisione 30 Luglio 2008 n. 9, pur confermando il principio che sussiste la giurisdizione del Giudice Civile quando si intende far accertare con efficacia di giudicato le conseguenze derivanti dall’annullamento dell’aggiudicazione di un appalto, ha anche affermato che la sentenza del Giudice Amministrativo di annullamento dell’aggiudicazione determina, comunque, in capo all’amministrazione soccombente l’obbligo di conformarsi alle relative statuizioni e di orientare conseguentemente la sua ulteriore azione, il che comporta che può verificarsi che l’amministrazione stessa, se intende dare esecuzione spontanea a detta sentenza di annullamento del Giudice Amministrativo (o se vi è, in ogni caso, costretta a seguito del giudizio di ottemperanza), dovrà emanare tutti i provvedimenti idonei ad assicurare al ricorrente vittorioso il bene della vita effettivamente perseguito attraverso il giudizio di legittimità e reintegrarlo pienamente nella situazione concreta che avrebbe dovuto già conseguire qualora l’amministrazione non avesse adottato l’atto di aggiudicazione illegittimo.
Da ciò discende che, anche in relazione ad un procedimento promosso dinanzi al Giudice Amministrativo, ogni qual volta la pronuncia di annullamento dell’aggiudicazione determini per l’amministrazione l’effetto suindicato, al fine di determinare il valore della controversia riguardo alla posizione del soggetto che ha chiesto l’annullamento stesso (e dunque anche dell’amministrazione che ha resistito alla domanda), occorrerà fare riferimento al contenuto economico delle prestazioni che l’amministrazione medesima sarà tenuta ad eseguire per conformarsi alla statuizione del Giudice Amministrativo.
Per quanto concerne poi l’attività professionale diretta alla redazione dei pareri su incarico dell’Ente Pubblico è evidente che la problematica diretta all’esatta individuazione del “petitum”, che costituisce il presupposto per la determinazione del valore nei procedimenti giudiziari, non si dovrebbe porre, in quanto in questo caso occorre avere riguardo all’oggetto del parere richiesto, che potrebbe tranquillamente travalicare i limiti della domanda proposta e/o proponenda dalla controparte dell’Ente Pubblico; del resto, salvo che l’Ente Pubblico abbia richiesto un parere limitandone espressamente il contenuto esclusivamente alla legittimità, o meno, dell’atto amministrativo, senza nulla voler conoscere in merito alle conseguenze, anche di natura economica, di un’eventuale illegittimità e/o di un eventuale annullamento dell’atto stesso, lo studio della questione e l’attività di consulenza normalmente dovrebbero involgere l’appalto e/o il relativo contratto sotto tutti i profili e con uno specifico riferimento agli aspetti di natura economica, visto che gli interessati e/o i controinteressati, in linea generale, potrebbero far valere, dinanzi al Giudice competente, non solo la domanda di annullamento dell’atto amministrativo ma anche quella di risoluzione e/o di caducazione del contratto e/o di risarcimento del danno, per cui necessariamente il valore a cui dover far riferimento è, appunto, quello dell’importo dell’offerta e/o del corrispettivo dell’appalto, a seconda che il parere venga reso in relazione alla fase di aggiudicazione o a quella successiva alla conclusione del contratto di appalto.