Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: è lecito il messaggio pubblicitario del professionista a carattere meramente promozionale

E’ stato chiesto a questo Consiglio di valutare se sia deontologicamente corretto accostare il logo dello Studio a quello di un’associazione no profit impegnata in iniziative di salvaguardia e valorizzazione di un parco urbano di elevatissimo pregio e notorietà nell’ambito di un rapporto di sponsorizzazione, dando pubblica notizia della collaborazione su entrambe le pagine internet di riferimento (Studio e associazione).

Si ritiene dunque che venga sottoposto a scrutinio di questo COA la congruità di una iniziativa di tipo pubblicitario.

I riferimenti normativi pertinenti sono costituiti:

– dall’art.17 e dall’art. 35  del Codice Deontologico Forense.

– dall’art. 2 del D.L. 223/2006 convertito con modificazioni nella L. 248/2006 (nota come ‘Legge Bersani’);

– dall’art. 3 comma 5 del Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modd. nella Legge 14 settembre 2011, n. 148 (c.d. manovra bis) e dall’art. 4 comma 2 del d.P.R. 3 agosto 2012, n. 137, di attuazione della disposizione legislativa suddetta;

– dall’art. 101 TFUE nella sua interpretazione fornita dalla sentenza della CGUE 18 luglio 2013, C-136/12.

Per l’ordinamento deontologico forense la pubblicità dell’attività di un avvocato parrebbe non potersi assimilare alla pubblicità di un’impresa commerciale, dal momento che mentre quest’ultima è finalizzata esclusivamente ad aumentarne il fatturato, la notorietà ed il gradimento da parte del pubblico, quella posta in essere da un avvocato parrebbe finalizzata principalmente a consentire una scelta più consapevole e proficua dell’avvocato dei cui servizi professionali si abbia necessità di avvalersi.

Conformemente, gli artt. 2 della c.d. legge Bersani ed i predetti art. 3 comma 5 della c.d. manovra bis ed art. 4 del relativo regolamento paiono confermare la necessità di un nucleo descrittivo minimo del messaggio pubblicitario che lo renda congruo rispetto allo scopo di informare adeguatamente il pubblico onde consentire una scelta consapevole e proficua del professionista.

Un elemento di decisiva rottura del quadro normativo di diritto interno per come sopra ricostruito e delle relative implicazioni in materia di (minimo) contenuto descrittivo del messaggio pubblicitario dell’avvocato è invece costituito dalla sopra ricordata pronunzia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella quale, per quanto più direttamente rileva nell’economia del presente ragionamento,  si è fra l’altro affermato che la nozione eurounitaria di impresa include anche l’esercente di una professione intellettuale (Così Consiglio di Stato, Sez. VI 22 gennaio 2015 n. 238).

Detto principio di diritto comunitario sembra essere munito di una forza espansiva  tale da collocare nell’area della liceità anche il messaggio pubblicitario del professionista che abbia carattere meramente promozionale e tale deve senz’altro considerarsi quello costituito dal solo nominativo dell’avvocato e/o dello studio senza alcuna informazione aggiuntiva, per come tipicamente avviene quando si sia al cospetto di rapporti di sponsorizzazione di eventi ed iniziative quale quello sottoposto all’attenzione di questo COA.
Ci corre l’obbligo infine di precisare che:
– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense il “potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” (art 50 L.247/2012) e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quale esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
– pertanto è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione dei comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio anche per quanto riguarda l’elemento soggettivo.