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Lapo Mariani

parere

Avvocato: la corrispondenza tra legali qualificata come riservata personale

Viene richiesto a questo Consiglio un parere in merito al seguente caso: “nell’interesse di un mio cliente sto curando avanti al Giudice di omissis un’opposizione al decreto ingiuntivo richiesto da un Avvocato in loco (Avv. Caio), per ottenere il saldo del compenso che questi ritiene dovuto per l’assistenza in una vendita immobiliare, poi non perfezionatasi.
Il motivo dell’opposizione, oltre l’incompetenza per territorio, è la contestazione sull’operato dell’Avv. Caio, che avrebbe suggerito e spinto il proprio cliente, oggi mio assistito, alla vendita di un immobile con abusi edilizi insanabili che rendono l’immobile non commerciabile.
Nella trattativa con il soggetto interessato all’acquisto dell’immobile in questione, tale Avv. Mevio in proprio, è intercorsa tra l’Avv. Caio e l’Avv. Mevio della corrispondenza via e-mail qualificata come riservata personale dall’Avv. Mevio; tale corrispondenza è stata trasmessa dall’Avv. Caio al proprio cliente, oggi mio assistito.
Nel predetto giudizio di opposizione sarebbe necessario produrre la corrispondenza riservata intercorsa tra l’Avv. Caio e l’Avv. Mevio, ove si affronta la tematica dell’abuso sull’immobile oggetto della trattativa e che bene inquadrerebbe l’assistenza prestata dall’Avv. Caio all’allora proprio cliente.
Mi pongo quindi il problema se tale produzione sia consentita dall’art. 28 del Nuovo Codice Deontologico Forense, considerato che:
• è stato l’Avv. Caio a trasmettere all’allora proprio cliente la corrispondenza riservata ricevuta dall’Avv. Mevio;
• lo stesso Avv. Mevio, mittente della corrispondenza riservata, è del tutto estraneo alla causa nella quale ipotizzare la produzione di tale corrispondenza, visto che tale causa riguarda soltanto il rapporto contrattuale tra l’Avv. Caio e l’allora proprio cliente e non interessa in alcun modo direttamente l’Avv. Mevio”.
Occorre innanzitutto premettere che la richiesta di parere non chiarisce bene se l’Avv. Mevio, estraneo all’attuale giudizio di opposizione, abbia agito nella trattativa per l’acquisto dell’immobile non in qualità di legale di una parte, ma in proprio, quale aspirante acquirente. Anche qualora egli abbia agito nell’esclusivo interesse proprio (come consentito anche dall’art. 13, comma 1, della l. 247/2012) si ritiene che debbano essere rispettate nei suoi confronti le norme stabilite dal codice deontologico forense (“c.d.f.”).
La fattispecie è disciplinata dall’art. 48 c.d.f., il quale prevede il divieto per l’avvocato di produrre in giudizio la corrispondenza intercorsa fra colleghi qualificata come riservata. Tale divieto vale anche qualora la corrispondenza riservata sia stata consegnata ad altro collega a seguito del venir meno del mandato professionale.
Tale divieto è assoluto e supera anche il diritto di difesa. Essa è inoltre stata interpretata dal CNF come vigente anche nel caso in cui sia stato il cliente e non il precedente avvocato a consegnare al nuovo difensore la corrispondenza riservata.
In più occasioni infatti il CNF ha deciso che “il professionista che subentri ad altro collega precedentemente officiato dal cliente, deve osservare i medesimi criteri di riservatezza in ordine alla corrispondenza scambiata tra colleghi (art. 28 cdf) che gli venga consegnata dal precedente difensore o dal cliente stesso (Nel caso di specie, la missiva era assertivamente pervenuta all’avvocato dal cliente, che a sua volta la avrebbe irritualmente ricevuta dalla praticante del precedente difensore)” (CNF, sentenza del 10 aprile 2013, n. 58; conforme, tra le altre, CNF, sentenza del 29 novembre 2012, n. 159).
“La norma deontologica di cui all’art. 48 ncdf (già 28 cdf) è stata dettata a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale, con il fine di non consentire che leali rapporti tra colleghi potessero dar luogo a conseguenze negative nello svolgimento della funzione defensionale, specie allorché le comunicazioni ovvero le missive contengano ammissioni o consapevolezze di torti ovvero proposte transattive. Ciò al fine di evitare la mortificazione dei principi di collaborazione che per contro sono alla base dell’attività legale. Di talché il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra i professionisti contenente proposte transattive assume la valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali, quali che siano gli effetti processuali della produzione vietata, in quanto la norma mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo, quando scrive ad un collega di un proposito transattivo, non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente; mentre, il secondo, deve essere portatore di un indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni avvocato. La norma, peraltro, non è posta ad esclusiva tutela del legale emittente, ma anche all’attuazione della sostanziale difesa dei clienti che, attraverso la leale coltivazione di ipotesi transattive, possono realizzare una rapida e serena composizione della controversia” (così il CNF, sentenza n. 118 del 28 ottobre 2019). Tale divieto è stato con fermezza e costanza ribadito anche nel caso in cui a voler produrre la corrispondenza sia lo stesso mittente.
Sebbene ben si comprenda che in questo caso la ratio della produzione potrebbe essere diversa e il giudizio non abbia in alcun modo a oggetto il precedente rapporto fra le due parti, ma quello del precedente legale con il proprio cliente, questo Consiglio ritiene opportuno non derogare all’interpretazione della norma fornita dal CNF, interpretazione che condivide.
Concludendo, non è consentito all’avvocato produrre in giudizio la corrispondenza riservata fra colleghi, neanche nel caso in cui questa sia stata consegnata dal precedente avvocato al proprio cliente che poi l’ha consegnata al nuovo difensore e neanche nel caso in cui tale produzione non sia suscettibile di danneggiare in alcun modo il mittente della corrispondenza stessa o il cliente di questo, che non sono parti del giudizio.
Ciò detto circa il quesito, corre infine l’obbligo di precisare che con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai Consigli Distrettuali di Disciplina Forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine.
Ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono, né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo.
Pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.