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parere

Avvocato: la pattuizione del compenso in ‘linea di massima’ ed in forma orale e la relativa richiesta di tassazione della notula sulla base del DM 55/24, così come modificato dal DM 37/18

E’ stato chiesto a questo Consiglio di esprimere un parere in merito al seguente quesito (si riporta anche parte della narrativa contenuta nella lettera di richiesta di parere perché rilevante per rispondere al quesito): “(…) Veniva pattuito in linea di massima e solo oralmente un compenso poiché nell’incertezza degli adempimenti che sarebbero dovuti essere posti in essere non era chiaro a questo difensore l’effettivo quantum da richiedere.
Depositato l’appello, ricevuto un acconto, il sottoscritto ha più volte invitato la Signora a presentarsi in ufficio per la sottoscrizione del preventivo circostanza mai avvenuta poiché la Signora è indispettita perché la Corte di Appello ha fissato udienza solo al 9 Marzo 2021.
Nell’ultima telefonata ricevuta la Signora ha palesato la non volontà di saldare il sottoscritto e, cosa probabile, di rivolgersi a nuovo legale di fiducia. Il quesito che si sottopone a codesto Ill.mo Ordine è il seguente: in caso di mancata sottoscrizione del preventivo a causa di comportamento persistente e dilatorio del Cliente nonostante una intesa di massima a livello verbale sul compenso, se sia deontologicamente corretto il comportamento dell’Avvocato che per ricorrere al recupero del credito professionale chiede la tassazione della notula basandosi sul DM 55/24 così come modificato dal DM 37/18 nonostante una intesa verbale e di massima raggiunta, ma mai consacratasi in uno scritto per negligenza del cliente”.
Orbene, dalla narrativa dei fatti si evince:
a) che vi è stato un accordo verbale “di massima” sul compenso per l’attività da svolgere;
b) che la cliente è stata invitata a sottoscrivere un preventivo (che non le è stato inviato), ma non si è mai presentata per sottoscrivere l’accettazione;
c) che è stata svolta attività processuale mediante inizio di un giudizio di appello;
d) che la cliente ha pagato un anticipo, ma si è rifiutata di provvedere al saldo pur avendo annunciato la propria volontà di nominare un altro legale.
Nella richiesta di parere non viene chiarito:
1) se vi sia già stata la richiesta formale del pagamento di un preciso compenso;
2) se l’accordo di massima riguardasse l’intero processo di appello o soltanto la redazione dell’atto di vocatio in ius, che pare essere l’unica attività ad oggi effettivamente svolta dal richiedente;
3) se l’applicazione dei parametri di cui al D.M. 55/2014 comporti la determinazione di un compenso superiore a quello precedentemente concordato con un accordo “di massima”, o, eventualmente, già richiesto.
Orbene, l’art. 1 del D.M. 55/2014, contenente il regolamento con i parametri per la determinazione dei compensi per l’attività forense, stabilisce che tale regolamento si applica “quando all’atto dell’incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale degli stessi, comprese le ipotesi di liquidazione nonché di prestazione nell’interesse di terzi o prestazioni officiose previste dalla legge, ferma restando – anche in caso di determinazione contrattuale del compenso – la disciplina del rimborso spese di cui al successivo articolo 2”.
In ogni caso, lo stesso art. 1 del D.M. 55/2014 prevede che si possa far riferimento ai parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense quando non vi sia stata una precedente determinazione consensuale degli stessi. Nel caso in questione, pur nell’assenza della forma scritta, l’avvocato riferisce che: “Veniva pattuito in linea di massima e solo oralmente un compenso poiché nell’incertezza degli adempimenti che sarebbero dovuti essere posti in essere non era chiaro a questo difensore l’effettivo quantum da richiedere.” Vi era dunque stato un preliminare accordo orale “di massima” relativo al compenso per l’attività da svolgere.
Stante le incertezze relative agli elementi che la richiesta di parere non chiarisce, e di cui si è detto sopra, non è possibile stabilire se l’accordo orale in questione possa essere ritenuto vincolante per l’avvocato richiedente il parere.
Qualora vi sia già stata una richiesta formale di pagamento si ricorda che il canone deontologico contenuto nell’art. 29 del Codice deontologico forense (“c.d.f.”), rubricato “Richiesta di pagamento”, prevede al quinto comma che, in caso di mancato pagamento da parte del cliente, l’avvocato “non deve richiedere un compenso maggiore di quello già indicato, salvo ne abbia fatto espressa riserva”. La riserva deve essere formulata nell’atto di richiesta di pagamento e deve essere riferita al mancato tempestivo e integrale pagamento dell’importo richiesto (1).
La violazione dell’art. 29 c.d.f. comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.
La questione che ci occupa è stata affrontata dal C.N.F. molte volte, anche sotto la previgente disciplina dell’art. 43, comma 3, del c.d.f., e la richiesta di un compenso maggiore rispetto a quello già richiesto è sempre stata ritenuta un illecito disciplinare.
L’orientamento formatosi sotto la vigenza del vecchio art. 43 è stato confermato dal C.N.F. con le sentenze n. 68 del 1 giugno 2017 e n. 178 del 21 novembre 2017 aventi ad oggetto l’interpretazione dell’art. 29 del nuovo c.d.f. (2).
Compie, pertanto, un illecito disciplinare l’avvocato che, a causa del mancato spontaneo pagamento delle competenze professionali e senza averne fatto espressa riserva, richieda con una successiva comunicazione un compenso maggiore di quello in precedenza richiesto, anche se la somma maggiore richiesta è il risultato dell’applicazione al caso concreto dei parametri previsti dal D.M. 55/2014.
Nel fare proprie le determinazioni del Consiglio Nazionale Forense, questo Consiglio ritiene che:
– nel caso in cui non vi sia stato un precedente accordo relativo alla specifica prestazione svolta, sia possibile far riferimento ai parametri per la liquidazione dei compensi di cui al D.M. 55/2014;
– nel caso in cui vi sia già stata una richiesta formale di pagamento di un determinato compenso, commetta un illecito disciplinare ai sensi dell’art. 29, comma 5, c.d.f., l’avvocato che richieda per le medesime prestazioni un importo maggiore rispetto a quello già richiesto, salvo che di ciò l’avvocato abbia fatto espressa riserva per il caso di mancato integrale e tempestivo pagamento di quanto richiesto.
Corre infine l’obbligo di precisare che con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai Consigli Distrettuali di Disciplina Forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine.
Ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono, né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa, né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina, né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo.
Pertanto è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio dell’Ordine.
(1) Cfr. per tutti C.N.F. (pres. f.f. Picchioni, rel. Masi), sentenza del 28 dicembre 2018, n. 226: “In caso di mancato spontaneo pagamento da parte del cliente, l’avvocato può richiedere un compenso maggiore di quello previamente indicatogli solo ove ne abbia fatto espressa riserva, la quale, per poter valere come tale, deve contenere la specifica previsione di una maggiorazione dell’importo in mancanza di tempestivo integrale pagamento della somma richiesta”.
(2) “Vìola l’art. 29 ncdf (già art. 43 cdf), l’avvocato che richieda compensi eccessivi (nella specie, di oltre la metà) o per attività professionali non eseguite (nella specie, per la redazione di una transazione alla quale non aveva partecipato), o comunque maggiori di quelli già indicati in precedenza senza averne fatto espressa riserva” C.N.F. sent. del 1° giugno 2017, n. 68; e ancora “Vìola l’art. 29 ncdf (già art. 43 cdf), l’avvocato che, a causa del mancato spontaneo pagamento delle competenze professionali e senza averne fatto espressa riserva, richieda con una successiva comunicazione un compenso maggiore di quello già indicato in precedenza (Nel caso di specie, il professionista aveva richiesto un ulteriore compenso al cliente, dopo che questi gli aveva già pagato la sua precedente parcella a saldo)”C.N.F., sent. del 21 novembre 2017, n. 178.