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Lapo Mariani

parere

Avvocato: non è consentito produrre in un giudizio penale la corrispondenza riservata scambiata tra i colleghi difensori, neppure se contenente documenti rilevanti ai fini della decisione.

Viene richiesto a questo Consiglio se sia consentito all’avvocato produrre, nell’ambito di un procedimento penale, le comunicazioni riservate e personali inviate dal collega, alle quali sono stati allegati documenti della cui genuinità si discute.


1. Il canone deontologico che viene in considerazione nel caso di specie è l’art. 48 del Codice deontologico forense (“c.d.f.”), rubricato “Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega”.

L’articolo in commento, al primo comma, prevede che l’avvocato non possa produrre in giudizio la corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualora sia qualificata come riservata, nonché quella contenente proposte transattive e le relative risposte.

Il secondo comma dell’art 48 prevede due deroghe al divieto contenuto nel primo comma. L’avvocato può infatti produrre la corrispondenza intercorsa con i colleghi qualora la stessa:

I. costituisca perfezionamento e prova di un accordo

II. assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste.

La violazione del divieto di produzione disciplinato dall’art. 48 c.d.f. comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

2. Dall’esposizione della fattispecie contenuta nel quesito appare che il contenuto della corrispondenza la cui produzione è stata richiesta non integri le fattispecie di cui al comma 2, lett. a) e b), dell’art. 48.

3. La norma deontologica è dettata a salvaguardia del corretto svolgimento dell’attività professionale e, salve le eccezioni previste espressamente, prevale persino sul dovere di difesa (1).

Il tema oggetto della presente quesito, del resto, era già stato affrontato da questo Consiglio dell’Ordine con il parere del 29 ottobre 2015, nel quale si dà diffusamente atto del medesimo orientamento della giurisprudenza del CNF.

In esso si legge infatti“(…) la stessa giurisprudenza del CNF non è sempre disposta ad una modulazione del divieto ex art 48 che tenga conto delle differenti tipologie dei giudizi nelle quali la corrispondenza fra colleghi può astrattamene assumere la natura di prova documentale. Sotto quest’ultimo aspetto, il CNF, con la sentenza 10.04.2013, n. 58, ha affermato che ‘… l’art 28 vieta di produrre in giudizio corrispondenza qualificata come riservata o comunque contenente proposte transattive scambiate tra colleghi; rimane, quindi, esclusa qualsiasi valutazione da parte del destinatario del divieto circa una prevalenza dei doveri di verità o di difesa sul principio di affidabilità lealtà nei rapporti interprofessionali indipendentemente dagli effetti processuali della produzione vietata.’

Inoltre, si segnala come la prevalenza nel bilanciamento di interessi fra la volontà di procurare al cliente il pieno esercizio del diritto di difesa da un lato e dall’altro, la necessità di assicurare affidabilità e lealtà nei rapporti di colleganza è risolta a favore di quest’ultima anche da un’altra pronuncia del CNF (cfr. sentenza 29.11.2012, n. 161). In particolare, nel suddetto provvedimento il CNF ha precisato che ‘… la produzione in giudizio di una lettera contenente una proposta transattiva configura per ciò solo la violazione della norma deontologica di cui all’art 28, precetto che non soffre eccezione alcuna, men che meno in vista del pur commendevole scopo di offrire il massimo della tutela nell’interesse del proprio cliente.’

Conclusivamente, deve ritenersi che, se si reputa che, così come per la corrispondenza definita riservata, anche per la corrispondenza relativa a proposte transattive ed alle conseguenti risposte, il divieto di produzione in giudizio, sancito dall’art 48 ( e prima dall’art 28 del c.d. previgente), debba valere anche in assenza di situazioni di danno potenziale per la controparte della trattativa poi non andata a buon fine; detto divieto sussiste a prescindere dalla tipologia del giudizio nel quale si intende produrre detta documentazione e dall’oggetto di esso”.

Secondo il Consiglio Nazionale Forense, inoltre, “l’art. 48 ncdf (già art. 28 codice previgente) vieta di produrre o riferire in giudizio la corrispondenza espressamente qualificata come riservata quale che ne sia il contenuto, nonché quella contenente proposte transattive scambiate con i colleghi a prescindere dalla suddetta clausola di riservatezza” (per tutte, CNF 27 settembre 2018, n. 110).

Né pare utile al fine di superare il divieto il parere della Commissione CNF n. 15 del 14 gennaio 2011 dove si legge: “In ipotesi di illecito penale e/o disciplinare, la lettera diviene il mezzo di commissione dell’illecito (onde sarebbe passibile di sequestro nel primo caso) ed opinare diversamente significherebbe far assurgere la riservatezza della corrispondenza a condizione di non punibilità per quanto di rilievo penale o disciplinare eventualmente contenuto nella stessa.

Talché l’avvocato ha sicuramente diritto di svolgere le azioni civili e/o penali e/o disciplinari qualora ritenga di essere stato offeso e/o ingiuriato per il tramite di una lettera utilizzando la stessa, trattandosi di legittimo esercizio di un diritto”. Si tratta infatti di ipotesi del tutto peculiare in cui è la stessa lettera indirizzata all’avvocato a costituire atto di commissione del reato da parte del legale.

4. Pare opportuno precisare, quanto all’autore della comunicazione, che è indifferente che si tratti di corrispondenza inviata o ricevuta, poiché, “mutatis mutandis, il precetto contenuto nell’art. 28 [ora art. 48 c.d.f.] non distingue tra corrispondenza inviata o ricevuta essendo il divieto di produzione generale e non colpito da alcuna eccezione” (vedi C.N.F., sent. n. 194/2017).

Anche se la corrispondenza proviene dallo stesso avvocato che vorrebbe depositarla in giudizio, pertanto, essa non può essere prodotta.

Salvo che nei casi delle eccezioni indicate dalla norma, non può dunque l’avvocato produrre in giudizio, anche se questo riguarda la materia penale, la corrispondenza fra colleghi qualificata come riservata.

5. Conclusioni.

La corrispondenza che non rispetti tutti i requisiti di un accordo transattivo, da qualunque dei legali di parte essa provenga, non può essere prodotta in giudizio, neanche se il giudizio riguarda la materia penale.

Ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.

 

(1) «La riservatezza della corrispondenza tra Colleghi, che tutela in definitiva la libertà del Difensore nella conduzione della lite, costituisce un canone essenziale che prevale, peraltro, salve le eccezioni previste espressamente, persino sul dovere di difesa» (cfr., per tutti, C.N.F., sent. 110/2018; 99/2018; 194/2017)