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Lapo Mariani

parere

Avvocato: non possono assumersi incarichi contro una parte già assistita in una pratica stragiudiziale, nel biennio successivo alla cessazione del rapporto, anche se l’incarico era stato conferito da un terzo.

Viene richiesto a questo Consiglio un parere sulla seguente questione:

Un avvocato ha prestato assistenza stragiudiziale, relativa ad un sinistro stradale, a Tizio ed a sua figlia, rispettivamente proprietario e conducente del veicolo coinvolto. L’ incarico è stato conferito dalla figlia, la quale ha poi provveduto al saldo della parcella.

Alcuni mesi dopo la definizione della pratica la ex moglie di Tizio si rivolge all’avvocato per ottenere il pagamento da parte dell’ex marito di quanto pattuito in sede di divorzio a titolo di mantenimento.

Si chiede a questo Consiglio se l’avvocato possa assumere il nuovo incarico.

1. Norme rilevanti e giurisprudenza.

Viene in rilievo l’art. art. 68 “Assunzione di incarichi contro una parte già assistita” del Codice deontologico forense (c.d.f.)

Stabilisce l’art 68 del c.d.f. che:

1. L’avvocato può assumere un incarico professionale contro una parte già assistita solo quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale.

2. L’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza.

3. In ogni caso, è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito.

4. (…)

5. (…)

6. La violazione dei divieti di cui al comma 1 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi. La violazione dei doveri e divieti di cui ai commi 2, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.

Dalla lettura dell’art. 68 c.d.f. emerge chiaramente come l’avvocato non possa assumere incarichi contro ex clienti a meno che non sia trascorso un biennio dalla cessazione dell’incarico professionale.

In ogni caso, anche dopo il termine biennale, l’avvocato deve comunque astenersi dall’utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito.

2. La ratio della norma deontologica

La ratio dell’art. 68, co. 1, del nuovo c.d.f. (già art. 51 del codice previgente) va ricercata, secondo il C.N.F., “nella tutela dell’immagine della professione forense, ritenendosi non decoroso né opportuno che un avvocato muti troppo rapidamente cliente, passando nel campo avverso senza un adeguato intervallo temporale e prescinde anche dal concreto utilizzo di eventuali informazioni acquisite nel precedente incarico, non solo quando il nuovo incarico sia inerente al medesimo procedimento nel quale il difensore abbia assistito un’altra parte, che abbia un interesse confliggente con quello del nuovo assistito, ma anche nella ipotesi in cui il giudizio successivamente instaurato, pur avendo un petitum diverso, scaturisca da un identico rapporto” (cfr. Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 21 novembre 2017, n. 180)

3. Il “cliente”

L’art. 23 del codice deontologico forense (“c.d.f.”) stabilisce, indirettamente, che cliente dell’avvocato è colui il quale conferisce il mandato per l’incarico professionale.

Con sentenza n. 100 del 9 ottobre 2019 il CNF ha stabilito che: “Il rapporto di fiducia tra avvocato e cliente impone che l’incarico debba essere conferito dalla parte assistita e, nel caso in cui sia conferito da un terzo, l’incarico può essere accettato soltanto con il consenso della parte assistita”. Si deve ritenere pertanto che “cliente” dell’avvocato è colui che ha conferito il mandato professionale. Dalla sintetica esposizione dei fatti operata nel quesito pare potersi desumere che, nel caso sottoposto all’esame di questo Consiglio, titolare del rapporto con la compagnia assicurativa fosse Tizio, e non la figlia di questo, e che la negoziazione dell’accordo per la definizione del sinistro sia avvenuta, sebbene in parte anche a vantaggio della figlia di Tizio, sulla base del contratto di assicurazione di cui Tizio era titolare.

Se quanto appena esposto è vero, si può concludere che Tizio è stato il “cliente” assistito nel controversia relativa al sinistro stradale. Tizio è pertanto l’ex cliente dell’avvocato richiedente il parere.

4. Conclusioni.

Si deve pertanto ritenere che si applichi all’avvocato che ha richiesto il parere il divieto di agire nei confronti dell’ex cliente Tizio sancito dall’art. 68 c.d.f. per il periodo di due anni dalla cessazione del rapporto professionale.

Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.