Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: sulla applicabilità del divieto di assumere la funzione di arbitro (art. 61, comma 2 CDF) al procedimento di conciliazione ed arbitrato previsto dall’art. 7 del c.d. “Statuto dei lavoratori” (Legge n.300/1970)

Viene richiesto un parere in merito all’applicabilità o meno del divieto contenuto nell’art. 61, comma 2, del Codice deontologico forense al procedimento di conciliazione ed arbitrato previsto dall’art. 7 della L. 20.5.1970 n. 300 (cd. Statuto dei lavoratori).

L’art. 7 della L.300/1970 fa riferimento ad “un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell’ufficio del lavoro”. Secondo il richiedente  l’espressione “rappresentante” indurrebbe a ritenere che il soggetto nominato da ciascuna delle parti non sia affatto estraneo, terzo ed imparziale agli interessi della parte rappresentata ma anzi chiamato a sostenerne le ragioni in seno al collegio.

Da qui la richiesta di chiarire se il divieto ex art. 61, comma 2, del codice deontologico forense esuli da tale fattispecie o debba trovare piena efficacia anche con riferimento ai procedimenti ex art. 7 L. n. 300/70.

E’ opportuno premettere che il Consiglio dovrebbe preliminarmente risolvere la questione – che esula dai suoi compiti e dalle sue prerogative – che attiene alla qualificazione giuridica del procedimento di conciliazione ed arbitrato previsto dall’art. 7 dello statuto dei lavoratori.

Inoltre, i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono, in conseguenza, rilasciati in termini generali e non assumono e non possono assumere in eventuali procedimenti disciplinari, né funzione orientativa, né tantomeno vincolante nel giudizio del Consiglio Distrettuale di disciplina, né possono rilevare quale esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo.

Ciò premesso, il Consiglio si può limitare ad esporre alcune considerazioni di carattere generale in relazione all’art. 61 del nuovo codice deontologico forense ed al suo ambito di applicazione, prescindendo dalla questione relativa alla qualificazione giuridica del procedimento di conciliazione ed arbitrato prevista dall’art.7 dello statuto dei lavoratori.

L’Art. 61, comma 1, CDF prescrive che “l’avvocato chiamato a svolgere la funzione di arbitro deve improntare il proprio comportamento a probità e correttezza e vigilare che il procedimento si svolga con imparzialità e indipendenza”.

Nella prassi è noto che, nel caso in cui vi sia un collegio arbitrale composto da tre arbitri, due di essi vengono nominati dalle parti ed il terzo di comune accordo dai due ovvero con altri sistemi. E’ dunque pressoché fisiologico che l’avvocato nominato dalla parte si faccia in qualche modo portatore degli interessi di quella parte nel procedimento arbitrale ed è proprio in considerazione di tale rischio, che il codice deontologico statuisce un dovere di vigilanza in capo a tutti gli arbitri.

L’art. 61, comma 2, CDF stabilisce che “l’avvocato non deve assumere la funzione di arbitro quando abbia in corso o abbia avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una delle due parti e comunque, se ricorre una delle ipotesi di ricusazione degli arbitri previste dal codice di rito”.

Il divieto contenuto nell’art. 61, comma 2, concerne l’assunzione della funzione di arbitro che si verifica normalmente al momento dell’accettazione della carica e la sua violazione è una di quelle sanzionate in maniera più pesante perché essa comporta, ai sensi del comma 8 dell’art. 61 “ la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da sei mesi a un anno”.

Il comma 4 dell’art. 61 prevede poi che “l’avvocato che viene designato arbitro deve comportarsi nel corso del procedimento in modo da preservare la fiducia in lui riposta dalle parti e deve rimanere immune da influenze e condizionamenti esterni di qualunque tipo”.

Si osserva infine che le regole risultanti dall’art. 61 del codice deontologico non fanno alcuna distinzione a seconda che il collegio sia composto di un arbitro solo oppure da tre arbitri, né tantomeno distinguono a seconda che si tratti un arbitrato rituale o irrituale. Dunque, anche nell’arbitrato irrituale all’avvocato che violi le regole fissate dall’art. 61 potranno essere applicate le relative sanzioni disciplinari.