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parere

Avvocato: sulla illiceità della richiesta di un compenso maggiore rispetto a quello precedentemente indicato

Un Avvocato è stato nominato difensore di fiducia da un soggetto imputato in un procedimento penale, ma dopo l’udienza preliminare si è risolto il rapporto professionale ed il Collega ha chiesto con e-mail all’ex cliente il compenso per l’attività già espletata. Poiché l’assistito non ha risposto, il Collega intenderebbe intimargli di pagare la somma già richiesta, con espressa riserva -in difetto di pagamento- di adire questo Consiglio dell’Ordine al fine di far tassare la notula in misura certamente superiore a quanto già chiesto. Chiede pertanto un parere sulla liceità della formulazione di una seconda richiesta di pagamento all’ex cliente nei termini indicati.

1. Norme rilevanti e giurisprudenza

Alla luce di quanto sopra, viene in rilievo il canone deontologico contenuto nell’art. 29 del Codice deontologico forense (“c.d.f.”), rubricato “Richiesta di pagamento”, il cui quinto comma prevede che, in caso di mancato pagamento da parte del cliente, l’avvocato non possa richiedere un compenso maggiore rispetto a quello precedentemente indicato, salvo ne abbia fatto espressa riserva.

La violazione dell’art. 29 c.d.f. comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

La questione che ci occupa è stata affrontata dal C.N.F. molte volte, anche sotto la previgente disciplina dell’art. 43, comma 3, del c.d.f. e la richiesta di un compenso maggiore rispetto a quello precedentemente comunicato è sempre stata ritenuta un illecito disciplinare.

La giurisprudenza che si è formata sul punto durante la vigenza del precedente art. 43 c.d.f., ha trovato conferma nelle sentenze del CNF n. 68 del 1.6.2017 e n.178 del 21.11 2017, relative all’interpretazione all’art. 29 del nuovo c.d.f. (1). Il CNF è stato infatti costante nell’affermare che “In caso di mancato spontaneo pagamento da parte del cliente, l’avvocato può richiedere un compenso maggiore di quello previamente indicatogli solo se ne abbia fatto espressa riserva, la quale, per poter valere come tale, deve contenere la specifica previsione di una maggiorazione dell’importo in mancanza di tempestivo integrale pagamento della somma richiesta”  (Cfr. CNF, sentenza 28 dicembre 2018, n.226).

Compie pertanto un illecito disciplinare l’avvocato che, a causa del mancato spontaneo pagamento delle competenze professionali, e senza averne fatto espressa riserva, dopo aver richiesto un determinato importo per le prestazioni effettuate, richieda con una successiva comunicazione un compenso maggiore di quello indicato precedentemente.

2. Conclusioni.

In considerazione delle sopra richiamate decisioni, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze ritiene che, qualora vi sia già stata una richiesta formale di pagamento di un determinato compenso, l’avvocato che indichi un importo maggiore rispetto a quello già richiesto senza averne fatto espressa riserva nella precedente comunicazione per il caso di mancato pagamento, commetta illecito disciplinare ai sensi dell’art. l’art. 29, comma 5, c.d.f., sanzionato con la censura.

Ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.

Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.

Note: (1) “Viola l’art. 29 ncdf (già art. 43 cdf), l’avvocato che richieda compensi eccessivi (nella specie di oltre la metà) o per l’attività professionale (nella specie, per la redazione di una transazione alla quale non aveva partecipato), o comunque maggiori di quelli già indicati in precedenza senza averne fatta espressa riserva” C.N.F. sent. del 1 giugno 2017, n. 68; e ancora “Viola l’art. 29 ncdf (già art. 43 cdf), l’avvocato che, a causa del mancato spontaneo pagamento delle competenze professionali e senza averne fatto espressa riserva, richieda con una successiva comunicazione un compenso maggiore di quello già indicato in precedenza” C.N.F. sent. del 21 novembre 2017, n. 178.