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Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: sulla legittimità della pubblicazione sui siti web della “partnership” tra un avvocato italiano e una società commerciale estera

1. Quesito. E’ stato formulato a questo Consiglio il seguente quesito.

Un avvocato iscritto ed esercente la professione nel nostro Foro collabora da tempo con una società di consulenza che ha sede in uno Stato extraeuropeo, fornendo supporto ad attività contrattualistica.

Essendosi determinata l’esigenza di dare atto sui rispettivi siti web del legale e della società estera della loro collaborazione o “partnership”, viene richiesto se ciò sia in qualche modo lesivo di norme deontologiche e/o professionali.

2. Norme rilevanti e giurisprudenza. Vengono in rilievo gli artt. 35, 36 e 37 del Codice deontologico forense (c.d.f.). La prima norma (art. 35 – Dovere di corretta informazione), stabilisce i limiti entro i quali all’avvocato che esercita la sua professione in Italia è consentito farsi pubblicità, mentre la seconda (art. 36 – Divieto di attività professionale senza titolo e di uso di titoli inesistenti) vieta all’avvocato di agevolare lo svolgimento della professione legale in Italia da parte di chi non sia in possesso del titolo abilitante, mentre la terza (art. 37 – Divieto di accaparramento di clientela) definisce la fattispecie del divieto di accaparramento di clientela.

Più in particolare:

L’art. 35 stabilisce il dovere di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, nonché l’obbligo di indicare il titolo professionale, la denominazione dello studio e l’Ordine di appartenenza. Le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignità e decoro della professione. La violazione dei doveri appena indicati comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

L’art. 36 prevede, al comma 2, che: “costituisce altresì illecito disciplinare il comportamento dell’avvocato che agevoli o, in qualsiasi altro modo diretto o indiretto, renda possibile a soggetti non abilitati o sospesi l’esercizio abusivo dell’attività di avvocato o consenta che tali soggetti ne possano ricavare benefici economici, anche se limitatamente al periodo di eventuale sospensione dell’esercizio dell’attività”. Tale condotta è sanzionata con la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi.

L’art. 37 stabilisce che: “1. L’avvocato non deve acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi a correttezza e decoro. 2. L’avvocato non deve offrire o corrispondere a colleghi o a terzi provvigioni o altri compensi quale corrispettivo per la presentazione di un cliente o per l’ottenimento di incarichi professionali. 3. Costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o prestazioni a terzi ovvero la corresponsione o la promessa di vantaggi per ottenere difese o incarichi. 4. E’ vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico. 5. E’ altresì vietato all’avvocato offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per uno specifico affare. 6. La violazione dei doveri di cui ai commi precedenti comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.”

Evidentemente tali norme non possono disciplinare l’attività di chi non eserciti la professione di avvocato (o praticante avvocato), mentre la fattispecie di esercizio abusivo della professione è sanzionata dall’art. 348 c.p.

3. Valutazione della fattispecie. Per non violare le norme deontologiche appena citate l’informativa fornita su entrambi i siti internet siti dovrà rispettare i criteri indicati, ovvero essere veritiera, corretta e trasparente e l’attività nel mercato estero e in quello italiano dei servizi professionali non potrà essere svolta secondo modalità che integrino, a favore dell’avvocato che esercita la propria attività in Italia, gli estremi dell’accaparramento di clientela in base alla definizione della fattispecie delineata dall’art. 37 c.d.f.

La pubblicazione sul sito internet non dovrà essere tale da indurre il pubblico a ritenere che il consulente facente parte della società che opera nel mercato estero sia munito dell’abilitazione a esercitare l’attività di avvocato in Italia.

Qualora la “partneship” con la società estera si concreti in un vincolo associativo o di lavoro autonomo con una società commerciale, si ricorda che l’art. 18 della l. 247/2012 stabilisce che “l’esercizio della professione legale è incompatibile con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione. L’incompatibilità non sussiste se l’oggetto della attività della società è limitato esclusivamente all’amministrazione di beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico”.

4. Conclusioni. In conclusione si ritiene che:

a) La pubblicità di un’attività di collaborazione con una società di diritto estero, così come la pubblicità da parte di una società commerciale della collaborazione con un avvocato italiano, sia consentita nel rispetto dei limiti stabiliti dagli artt. 35 e 37 del c.d.f.

b) Le modalità della collaborazione con un consulente che opera all’estero o in Italia per non costituire un illecito disciplinare per l’avvocato che eserciti in Italia, non devono integrare gli estremi delle condotte vietate dall’art. 36 c.d.f.

c) Le caratteristiche della “partnership” con una società commerciale non devono violare le previsioni dell’art. 18 l. 247/2012 in materia di incompatibilità con l’esercizio della professione di avvocato.

 

Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.