Il caso affrontato dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento, riguardava il sequestro di due PC dallo studio di due avvocati, allo scopo di verificare lo svolgimento dell’attività professionale degli stessi in giorni durante i quali avevano presentato certificazioni mediche finalizzate al differimento di udienze penali per impedimento. Il tribunale di Siena rigettava la richiesta di riesame e i due avvocati proponevano ricorso, sostenendo la violazione dell’articolo 103 c.p.p. sui limiti alle perquisizioni, ispezioni e sequestri negli uffici dei difensori, ritenuto applicabile anche nel caso in cui il legale sia indagato, nonché la violazione degli articoli 200, 253 e 256 c.p.p.. In particolare si riteneva la mancanza del nesso di pertinenzialità con riferimento ad alcuni beni sequestrati e si affermava la possibilità dell’avvocato di opporre il segreto professionale anche nel caso in cui sia indagato, in quanto gli accertamenti comporterebbero inevitabilmente l’analisi di atti relativi ai rapporti con la clientela. La Corte di Cassazione, rigettando il ricorso, ha confermato la costante giurisprudenza sull’art. 103 c.p.p., non applicabile nel caso in cui le indagini riguardino lo stesso avvocato (v. Cass., sez. II Pen., n. 32909/2012), e ha sostenuto che, nel caso di specie, non può essere opposto il segreto professionale perché il sequestro risulta funzionale esclusivamente alla verifica dello svolgimento dell’attività in determinati giorni, senza riguardare il merito della stessa, e perché, stante in ogni caso l’assenza dei contrassegni di cui all’art. 35 disp.att. c.p.p., il provvedimento non riguardava comunicazioni o messaggi di posta elettronica presenti nei computer.
a cura di Leonardo Cammunci