E’ lesiva dei doveri di probità, dignità e decoro propri della classe forense, la condotta dell’avvocato che consegni una somma di denaro ad un pubblico ufficiale, sia quando il fatto integri gli estremi del reato di corruzione, sia quando la dazione avvenga a seguito della concussione dello stesso pubblico ufficiale.
Ed infatti l’avvocato, per l’importante funzione che è chiamato a svolgere dall’ordinamento statuale, non solo non può indurre il pubblico ufficiale a compiere atti contrari ai doveri del suo ufficio, ma neppure può cedere a ricatti e minacce, essendo tenuto al rispetto dell'ordinamento.
E’ quanto deciso dal CNF che ha inflitto ad un avvocato la sanzione disciplinare della sospensione per tre mesi dall’esercizio della professione forense, equiparando la posizione del “corruttore” a quella della “vittima di concussione”.
L’addebito contestato consisteva nella dazione da parte dell’avvocato di lire 50.000.000 a un Pubblico Ufficiale della Guardia di Finanza, recatosi presso lo studio del professionista per effettuare dei controlli.
Con la sentenza in commento la Suprema Corte, rigettando il ricorso presentato dal professionista, ritenutosi, appunto, vittima di un episodio di concussione, ha confermato la sanzione disciplinare irrogata dal CNF osservando che, come da suo consolidato orientamento, l’accertamento compiuto dal giudice disciplinare sul fatto e sulla sua idoneità a ledere il decoro della professione non può essere oggetto di controllo in sede di legittimità laddove la motivazione sia adeguata ed esente da vizi.
A cura di Guendalina Carloni