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giurisprudenza

La Corte di Cassazione ridefinisce “i confini” della casa comunale (Cass., Sez. III, 5 settembre 2019, n.22167)

La vicenda in oggetto trae origine dalla notifica da parte del Comune di Firenze di una cartella di pagamento per sanzioni amministrative relative a due violazioni del codice della strada non pagate dal debitore. Quest’ultimo proponeva opposizione di fronte al giudice di pace evidenziando un grave vizio di notifica. L’opponente sosteneva infatti che il verbale di accertamento della sanzione amministrativa, in assenza del destinatario, non fosse stato depositato presso la casa comunale come previsto dall’art. 140 c.p.c., ma in un ufficio privato diverso dal Comune di Firenze.
La domanda veniva rigettata sia in primo che in secondo grado e, pertanto, l’opponente proponeva ricorso in Cassazione, adducendo nuovamente la violazione delle norme di legge in tema di notifica.
Pronunciandosi sul punto, la Corte di Cassazione ha provveduto a fornire un’interessante interpretazione storica della locuzione “casa comunale”, mediante un analitico excursus normativo a partire dal R.D. 2641/1865 (in cui già si lasciava ai comuni la facoltà di destinare in un luogo diverso dalla casa comunale la sede degli uffici di conciliazione). Con questa prima argomentazione i giudici hanno osservato che la ratio della scelta – fin da allora derogabile – della casa comunale come luogo deputato al compimento di determinati atti, è da sempre stata finalizzata a consentire la facile e inequivoca individuazione della sede municipale da parte dei cittadini.
I giudici hanno poi affrontato la questione analizzando le altre principali fattispecie normative riferite alla definizione di casa comunale. In particolare l’art. 3 c. 1 d.P.R. 3/11/2000 n. 396, recante il Regolamento per la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, ha previsto per i comuni la possibilità di disporre, anche per singole funzioni, di uno o più separati uffici. In merito a ciò, il Consiglio di Stato, con parere 22/1/2014 n. 196, ha chiarito inoltre che la casa comunale può essere considerata qualsiasi struttura nella disponibilità giuridica del Comune, vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali’.
Per tali ragioni la Corte di Cassazione attraverso un’interpretazione sistematica della disciplina, ha concluso che la pubblica amministrazione è sempre libera di indicare come “case comunali” anche luoghi diversi che vanno pertanto considerati come equipollenti, a tutti gli effetti di legge, rispetto alla sede municipale.
In conclusione appare di notevole interesse trascrivere quanto espresso dalla Corte nel seguente principio di diritto: “in materia di notificazione di atti, la casa del comune in cui l’ufficiale notificante deve depositare la copia dell’atto da notificare si identifica, in alternativa alla sede principale del Comune, anche in qualsiasi struttura nella disponibilità giuridica di questo, vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali con provvedimento adottato prima della notificazione e chiaramente menzionata nell’avviso di avvenuto deposito”.

 

A cura di Brando Mazzolai