La Cassazione annulla con rinvio la sentenza di non luogo a procedere per il reato di cui all’art. 351 c.p., emessa nei confronti di un avvocato. Quest’ultimo, secondo la ricostruzione dell’accusa, aveva prelevato in cancelleria civile, senza avere chiesto l’autorizzazione (la querela è stata sporta dalla responsabile di quell'Ufficio), un fascicolo dal quale aveva estratto copia dell’atto di citazione di controparte che allegava poi in un’istanza di ricusazione del giudice, che produceva in un collegato processo penale. Il G.U.P. aveva motivato la decisione evidenziando come non vi fosse prova che egli non si fosse procurato il documento per altre vie (ad es. dal collega avversario stesso) e che comunque, l’averlo immediatamente riposto, non integrasse un impossessamento penalmente rilevante ai fini della norma contestata.
Viene invece accolto il ricorso del Procuratore della Repubblica, ritenendo la Corte di Legittimità che, al contrario, tale condotta rivesta pienamente il dettato della norma penale di cui all’imputazione. Il come egli ne fosse entrato in possesso era elemento che andava accertato in dibattimento e non poteva costituire, in quella sede, mancanza di prova.
E soprattutto, afferma la Corte citando alcune pronunce conformi, anche la momentanea rimozione della cosa dalla sfera di custodia pubblica costituisce sottrazione punibile penalmente, a nulla rilevando l’intenzione di immediata restituzione.
A cura di Giacomo Passigli