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giurisprudenza

Sul compenso spettante all’avvocato, tra libertà di revoca del mandato e validità del patto di quota lite. (Cass., Sez. II, Ord., 10 marzo 2023, n. 7180)

La pronunzia in esame trae origine da un giudizio relativo alla eventuale spettanza dei compensi richiesti da un avvocato nei confronti del proprio cliente.

La peculiarità della vicenda è data, da un lato, dal fatto che parte di questi compensi sarebbero relativi all’attività prestata dal legale a seguito della rinuncia al mandato da parte del professionista.

Inoltre, i compensi in questione sarebbero stati determinati sulla base di patto di quota lite. Sul punto, giova premettere che non è specificato il momento in cui sarebbe stato stipulato l’accordo in questione e se , quindi, tale accordo sia risalente al momento in cui il patto di quota lite era, almeno in astratto, lecito (ossia nel periodo intermedio tra la riforma di cui al D.L. 223/2006 e la L. 247/2012, che ha reintrodotto il divieto di patto di quota lite).

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ha evidenziato, in primo luogo, che nel rapporto avvocato/cliente “il diritto al compenso non è comunque mai escluso per mancanza di una giusta causa di recesso del professionista”.

Più in particolare, “il recesso dell’avvocato dal mandato è sempre liberamente esercitabile senza necessità della ricorrenza di una giusta causa, seppure, per scongiurare le conseguenze pregiudizievoli all’assistito per la perdita della difesa tecnica e alla controparte per la mancanza di un titolare di ius postulandi, l’attività mandata della rappresentanza in giudizio prosegua ad ogni effetto fino alla nomina di nuovo difensore”.

Il tutto, in deroga al sistema delineato dalle norme in materia di contratto d’opera intellettuale.

Venendo alla questione del patto di quota lite, giova sottolineare che, a quanto risulta, il ricorrente aveva impugnato la sentenza di primo grado “perchè il primo giudice non aveva considerato che il riconoscimento dell’intero compenso pattuito avrebbe richiesto la prestazione dell’attività difensiva fino alla sentenza definitiva”.

La Suprema Corte ha quindi rinviato alla Corte di Appello al fine di interpretare l’accordo, in particolare sotto il profilo:

– dell’eventuale presenza di clausole che condizionassero l’operatività del patto all’emissione di una sentenza in costanza di rapporto/mandato difensivo;

– ma anche della proporzione e ragionevolezza, rispetto alla tariffa di mercato, della remunerazione convenuta.

In altre parole, la Corte di Cassazione sembra sollecitare, in questo caso, un controllo sulla validità dell’accordo e sulla eventuale nullità dello stesso, in particolare ove i compensi spettanti in forza del patto di quota lite risultassero sproporzionati rispetto alle tariffe vigenti.

Ad ogni modo, la sentenza chiarisce che “in ipotesi di giudizio negativo sulla validità dell’accordo o sulla sua operatività, la liquidazione del compenso dovrà avvenire in applicazione delle tariffe professionali, perchè, ai sensi dell’art. 1419, comma 2, c.c., la nullità del patto di quota lite comunque non pregiudica la validità dell’intero contratto di patrocinio (cfr.Cassazione civile, sez. II, 30/07/2018, n. 20069): l’attività professionale svolta deve infatti essere comunque remunerata, come stabilito dal principio sancito nella l. 794-42, art. 7 già richiamato”

A cura di Giulio Carano