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giurisprudenza

Sulla applicabilità degli artt. 1341 e 1342 c.c. in caso di conferimento all’avvocato di incarico per la difesa di un ente pubblico (Cass, Sez. VI, Ord. 23 ottobre 2020, n. 23194)

La pronuncia in esame trae origine da un ricorso, proposto da un avvocato, avverso l’ordinanza, resa nell’ambito di un giudizio ex art. 702 bis c.p.c., che ha solo in parte accolto le richieste di pagamento dei compensi asseritamente a questi spettanti.

Con il ricorso, tra l’altro, l’avvocato ha censurato il provvedimento di prime cure nella parte in cui è stata negata l’applicazione degli articoli 1341 e 1342 c.c. “sol perché il ricorrente rivestiva la qualità di avvocato”.

In particolare, l’ordinanza censurata aveva statuito che “doveva poi escludersi che il bando per il convenzionamento fosse un contratto per adesione, rispetto al quale il ricorrente rivestisse la qualità di consumatore ovvero di contraente debole, atteso che non era stato concluso un rapporto di convenzionamento, ma era stato conferito un incarico professionale, che il ricorrente era libero di accettare o meno” e, anche per tali ragioni, aveva rigettato la richiesta di pagamento dei compensi nella misura richiesta dall’avvocato.

La Corte di Cassazione ha escluso che alla fattispecie in esame fosse applicabile la disciplina di cui agli articoli 1341 e 1342 c.c. “e ciò, non in ragione della natura professionale del ricorrente, ma in considerazione delle concrete modalità di fissazione del contenuto negoziale”.

Infatti, osserva la Corte, nel caso in questione, sia la documentazione relativa alla richiesta di inserimento nell’elenco dei legali esterni dell’Istituto, sia la delibera di conferimento dell’incarico, contenevano un esplicito richiamo alle precedenti delibere commissariali volte a limitare i compensi dei professionisti esterni, con l’effetto che, “attesa anche la competenza professionale del ricorrente, il contenuto del contratto d’opera professionale doveva reputarsi integrato per relationem tramite il richiamo al contenuto delle delibere, così che non poteva contestarsi che il corrispettivo pattuito fosse stato determinato in misura inferiore ai minimi tariffari (come appunto consentito dalla normativa vigente ratione temporis)”.

A cura di Giulio Carano