Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: circa le impugnazioni di transazioni o accordi di negoziazione assistita alla cui redazione l’avvocato abbia partecipato

  1. Quesito

Un avvocato che ha assistito una parte nel procedimento di negoziazione assistita nei confronti di una impresa edile, raggiungendo un accordo, ha chiesto a questo Consiglio se, a seguito di assunti inadempimenti dell’impresa nella esecuzione dell’accordo, possa proporne l’impugnazione in sede giudiziale in rappresentanza e difesa della medesima parte.

 2.  Norme rilevanti

        Vengono in rilievo le seguenti norme: l’art. 44 (Divieto di impugnazione della transazione raggiunta con il collega) del codice deontologico forense (“c.d.f.”) e l’art. 5 (Esecutività dell’accordo raggiunto a seguito della convenzione e trascrizione) del D.L. n. 132 del 2014.

        Prevede all’art.  44 del c.d.f. che:

1. L’avvocato che abbia raggiunto con il collega avversario un accordo transattivo, accettato dalle parti, deve astenersi dal proporne impugnazione, salvo che la stessa sia giustificata da fatti sopravvenuti o dei quali dimostri di non avere avuto conoscenza. 2. La violazione del dovere di cui al precedente comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura”,

–  mentre l’art. 5 comma 4 del D.L. n. 132 del 2014 che: “4. Costituisce illecito deontologico per l’avvocato impugnare un accordo alla cui redazione ha partecipato”.

  1. Risposta al quesito

La giurisprudenza del CNF è ormai uniforme nel considerare che: “Costituisce illecito disciplinare violativo dell’art. 44 cdf (già art. 32 codice previgente) il comportamento dell’avvocato che presti la sua assistenza professionale per la stipula di un atto di transazione in favore di una delle parti e successivamente assista la parte medesima nel giudizio di impugnazione della transazione per fatti già conosciuti prima della stipula e non sopravvenuti alla stessa”. (ex multis CNF sentenza n. 66 del 21 giugno 2018, CNF sentenza n. 167 del 30 settembre 2013)

Pur non entrando nel merito dei fatti specifici descritti in premessa dal Richiedente, dal momento che ciò non compete al COA, si rileva che mentre ai sensi dell’art. 44 del c.d.f. viene fatta salva la possibilità di impugnazione per fatti sopravvenuti o dei quali si dimostri di non avere avuto conoscenza, l’art. 5 comma 4 del D.L. n. 132 del 2014, non sembra lasciare spazio ad eccezioni, prevedendo sempre la configurazione di un illecito deontologico per l’avvocato che impugni un accordo alla cui redazione ha partecipato.

L’interpretazione sistematica dell’art. 5 del D.L. 132/2014 sulla base di quanto già previsto dall’art. 44 c.d.f., che consente l’impugnazione dell’accordo per fatti sopravvenuti, parrebbe a questo Consiglio ragionevole e giustificata dal riferimento alle norme deontologiche contenuto nella stesso art. 5. Si rileva tuttavia che in merito non esiste alcuna pronuncia giurisprudenziale e che quindi l’estensione all’art. 5 D.L. 132/2014 della ratio che giustifica l’impugnazione dell’accordo di negoziazione assistita per fatti sopravvenuti non gode del supporto della giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense.

L’impugnazione dell’accordo transattivo da parte di uno degli avvocati che abbia partecipato alla sua redazione viola quindi il divieto posto dall’art. 44 c.d.f. se non ha a fondamento fatti sopravvenuti. In base alla lettera dell’art. 5 D.L. 134/2014 l’accordo di negoziazione assistita non può comunque essere impugnato dall’avvocato che abbia partecipato alla sua redazione.

Devono invece ritenersi ammesse da parte del legale che abbia partecipato alla redazione dell’accordo le azioni diverse dall’impugnazione dell’accordo relative a pattuizioni contenute nello stesso.

  1. Conclusioni

Per i motivi sopra esposti, si ritiene di affermare che, salvo l’eccezione contenuta nell’art 44 del c.d.f., commette illecito deontologico l’avvocato che impugni una transazione o un accordo di negoziazione assistita alla cui redazione abbia partecipato.

Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.