1. Quesito
È stato proposto al Consiglio il seguente quesito: “A seguito di scambio di corrispondenza pec tra legali riservata o perché tale espressamente qualificata o perché contenente proposte di soluzione transattiva veniva formulata proposta transattiva di una controversia che prevedeva l’obbligo di una parte di ‘rimborsare’ alcune somme a fronte del diritto dell’altra parte di trattenere una quota delle somme già pagate per la partecipazione a un corso di aggiornamento e formazione.
Viene inviata via pec dal legale che ha ricevuto la proposta comunicazione di accettazione trascrivendo nell’atto il testo della proposta che prevede ” ….. rimborso in euro __ a posizione. Le altre ___ euro, a posizione, versate resterebbero a Istituto di Formazione _ __ “
I clienti della scrivente inviavano l’lban per il rimborso concordato.
Subito dopo l’accettazione, che ad avviso della scrivente ha perfezionato l’accordo transattivo (1326 cc), e l’invio dell’lban per il rimborso, il legale di controparte scriveva di essersi reso conto solo in quel momento che c’era stato un equivoco e che anche il termine ‘rimborso’ utilizzato in tutta la corrispondenza (compresa la proposta e l’accettazione) doveva intendersi come ulteriore somma da pagare in favore dell’istituto di formazione.
Nonostante dunque tutta la corrispondenza scambiata, compresa la proposta accettata prevedessero distintamente un importo a ‘rimborso’ e un importo da trattenere da parte dell’Istituto, secondo l’interpretazione data dal collega dopo l’accettazione, anche l’importo indicato a ‘rimborso’ doveva intendersi da versare all’istituto.
Non si tratta di mero errore di calcolo e non sono invocati fatti sopravvenuti o dei quali la parte dimostri di non avere avuto conoscenza.
La scrivente chiede:
– se sia conforme a deontologia contestare e negare (da parte del collega) intesa transattiva raggiunta mediante scambio di proposta e conforme accettazione via pec tra legali invocando, dopo l’accettazione, equivoco e sostenendo a posteriori che l’intesa non corrisponde agli interessi della parte assistita arrivando a ribaltarne i termini letterali e sostanziali;
– se può essere adoperata in giudizio la corrispondenza pec tra legali contenete le trattative, la
proposta e la conforme accettazione, nonché quella a seguire contenente le interpretazioni di tale corrispondenza”.
2. Norme rilevanti
Vengono in rilievo le seguenti norme: l’art. 44 (Divieto di impugnazione della transazione raggiunta con il collega) del codice deontologico forense (“c.d.f.”) e l’art. 48 (Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega).
Prevede all’art. 44 del c.d.f. che:
“1. L’avvocato che abbia raggiunto con il collega avversario un accordo transattivo, accettato dalle parti, deve astenersi dal proporne impugnazione, salvo che la stessa sia giustificata da fatti sopravvenuti o dei quali dimostri di non avere avuto conoscenza.
2. La violazione del dovere di cui al precedente comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura” , mentre l’art. 5 comma 4 del D.L. n. 132 del 2014 che: “4. Costituisce illecito deontologico per l’avvocato impugnare un accordo alla cui redazione ha partecipato”.
Prevede l’art. 48, comma 2, nella parte rilevante:
“2. L’avvocato può produrre la corrispondenza intercorsa tra colleghi quando la stessa: a) costituisca perfezionamento e prova di un accordo; b) assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste”.
3. Risposta al quesito
La giurisprudenza del CNF è ormai uniforme nel considerare che: “Costituisce illecito disciplinare violativo dell’art. 44 cdf (già art. 32 codice previgente) il comportamento dell’avvocato che presti la sua assistenza professionale per la stipula di un atto di transazione in favore di una delle parti e successivamente assista la parte medesima nel giudizio di impugnazione della transazione per fatti già conosciuti prima della stipula e non sopravvenuti alla stessa” (ex multis CNF sentenza n. 66 del 21 giugno 2018, CNF sentenza n. 167 del 30 settembre 2013). È fatta salva la possibilità di impugnazione per fatti sopravvenuti o dei quali si dimostri di non avere avuto conoscenza. La norma non fa riferimento a vizi del consenso dell’avvocato.
In merito alla possibilità di produrre in giudizio la corrispondenza riservata per dimostrare l’esistenza di un intervenuto valido accordo, il CNF ha stabilito che: “il comma 2, lettera a) dell’articolo 48 del Codice deontologico configura una esplicita deroga al divieto di produzione della corrispondenza – anche qualificata come riservata – intercorsa tra colleghi qualora la medesima costituisca «perfezionamento e prova di un accordo»”.
Per come descritta nel quesito, la fattispecie sembrerebbe dunque attagliarsi alla previsione testé richiamata.
Non compete al Consiglio dell’Ordine entrare nel merito dei fatti specifici descritti dalla richiedente e valutare se le fattispecie descritte rientrino o meno nei divieti previsti dalle norme così come interpretate dalla giurisprudenza del CNF.
Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:
– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;
– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;
– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.