Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: opportuna, anche se non espressamente vietata dalla legge, l’astensione del legale dall’assunzione del mandato difensivo nel giudizio in cui è chiamata a testimoniare la figlia, in quanto l’obiettivo dell’art. 55, comma 1 del c.d.f. è quello di evitare che in qualunque modo la testimonianza del terzo possa essere influenzata da una qualunque interazione con l’avvocato che assiste una delle parti ed appare difficile che in un rapporto padre/figlia, l’interazione cui fa riferimento la norma deontologica citata, possa essere evitata, con conseguente compromissione del valore probatorio della testimonianza stessa.

E’ stato chiesto parere in merito alla possibilità per l’avvocato di patrocinare un giudizio nel quale la figlia è chiamata a testimoniare, atteso quanto espressamente previsto dal primo comma dell’art. 55 c.d.f..

2. Norme rilevanti e giurisprudenza. La fattispecie oggetto del quesito è disciplinata dall’art 55, comma I, del codice deontologico forense (“c.d.f.”), il quale dispone che “l’avvocato non deve intrattenersi con testimoni o persone informate sui fatti oggetto della causa o del procedimento con forzature o suggestioni dirette a conseguire deposizioni compiacenti”.

In più occasioni sotto il vigore dell’art. 52 del precedente codice deontologico (che peraltro recava in proposito una disposizione di identico tenore) il Consiglio Nazionale Forense (“CNF”) ha ribadito che il precetto indicato prescrive che “l’avvocato deve evitare di intrattenersi con i testimoni o futuri tali (cioè coloro che non abbiano ancora formalmente assunto detta qualità), sulle circostanze oggetto del procedimento con forzature e suggestioni dirette a conseguire deposizioni compiacenti” (CNF sentenza 133/2014 e nello stesso senso CNF sentenza 214/2014).

La giurisprudenza della Suprema Corte ha confermato tale orientamento nella propria decisione a SS.U. 12183/2015 stabilendo che “l’avvocato deve evitare di intrattenersi con i testimoni o futuri tali (cioè coloro che non abbiano ancora formalmente assunto detta qualità), sulle circostanze oggetto del procedimento con forzature e suggestioni dirette a conseguire deposizioni compiacenti”. Il precetto è ovviamente formulato in termini ampi e la fattispecie è generale e aperta a essere riempita di contenuti per mezzo della sua applicazione a specifiche fattispecie concrete da parte degli operatori e degli organi incaricati di sanzionarne le condotte in contrasto con esso.

3. La disciplina della fattispecie in concreto. Non risultano a questo Consiglio decisioni che abbiano avuto a oggetto una pronuncia specifica in merito alla possibilità per il difensore di patrocinare una causa nella quale sia chiamato a testimoniare un prossimo congiunto del difensore stesso, né, come detto, la legge vieta espressamente tale fattispecie.

Si rileva tuttavia che l’obiettivo della norma è quello di evitare che in qualunque modo la testimonianza del terzo possa essere influenzata da una qualunque interazione con l’avvocato che assiste una delle parti. Appare difficile che in un rapporto padre/figlia in cui il padre è difensore di una delle parti e la figlia è testimone nel giudizio, l’interazione cui fa riferimento la norma deontologica prevista dall’art. 55, I comma, c.d.f., possa essere evitata, con conseguente compromissione del valore probatorio della testimonianza stessa.

Ritiene pertanto il Consiglio che l’astensione del legale dall’assunzione del mandato difensivo nel giudizio sia estremamente opportuna, anche se non espressamente vietata dalla norma.

4. Conclusioni. L’art. 55, I comma, c.d.f. non vieta espressamente l’assunzione del patrocinio difensivo da parte del legale che abbia un rapporto parentale con uno dei testimoni del giudizio del quale sarebbe parte il suo cliente. Il Consiglio ritiene però che, stante il tenore del precetto, l’assunzione del mandato da parte del difensore nel caso descritto sia quantomeno inopportuna e suscettibile di essere considerata condotta vietata dall’art. 55, comma I, c.d.f., da parte degli organi chiamati a giudicare le condotte degli iscritti all’ordine forense.

Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.