Direttore Responsabile:

Susanna Della Felice

Coordinatore di Redazione:

Lapo Mariani

parere

Avvocato: profili deontologici del contratto di rete mista fra professionisti avvocati, commercialisti, enti ed imprese

1.  Fatto e quesito.

Un avvocato si è rivolto a questo Consiglio esponendo quanto segue.

In recepimento della Direttiva Comunitaria RED I e RED II anche l’Italia, con l’introduzione dell’articolo 42-bis del Decreto Milleproroghe 162/2019 (convertito con la Legge n. 8/2020 del 28 febbraio 2020), ha definitivamente normato la possibilità di costituire le c.d. Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) e i Gruppi di Autoconsumo (GAU).

La normativa consente, sostanzialmente, di costituire una aggregazione fra soggetti privati, imprese, enti del terzo settore, enti ecclesiastici, condomini e consorzi i quali, dotandosi di un impianto comune ad energia rinnovabile (ad  es. un impianto fotovoltaico) e mettendo il medesimo a servizio del costituito soggetto giuridico, lo utilizzano in modo condiviso per il soddisfacimento dei bisogni energetici propri di ciascun appartenente al fine di: (i) migliorare le condizioni dell’ambiente contenendo l’inquinamento; (ii) risparmiare sul costo delle bollette elettriche; (iii) cedere a GSE (Gestore dei Servizi Energetici) l’energia prodotta in eccesso rispetto al fabbisogno del soggetto giuridico costituito, accedendo altresì ad una serie di benefici economici e fiscali.

Come intuibile la costituzione e il funzionamento esecutivo di una CER, piuttosto che di un GAU, necessita della consulenza di svariate professionalità che spaziano dal comparto tecnico per la taratura dell’impianto al fabbisogno del soggetto giuridico, al comparto delle imprese per la costruzione e la fornitura dell’impianto, al comparto legale per la strutturazione dell’atto costitutivo e del regolamento attuativo degli obblighi a carico dei partecipanti piuttosto che un supporto di consulenza nell’ambito del diritto amministrativo per l’analisi della fattibilità nel rispetto delle norme urbanistiche e del territorio, al comparto dei commercialisti e/o delle società di servizi (intendendosi per esse anche i CAAF posti a supporto di associazioni di categoria) per tutte quelle operazioni di natura fiscale e contabile discendenti dalla costituzione della CER/GAU.

La multidisciplinarità che connota pertanto l’attività professionale sottesa alla costituzione di una CER o di un GAU evidenzia quindi la necessità di assemblare un gruppo di soggetti, imprenditori, enti e professionisti, i quali, ciascuno nel proprio ambito di competenza, è in grado di assistere “chiavi in mano” tutti quei soggetti interessati a valutare per i propri scopi l’accesso alla nuova normativa energetica ottenendone i conseguenti benefici.

Alla luce di quanto sopra l’ Avvocato, in collaborazione con altri Colleghi, Commercialisti, Imprenditori, Enti Associativi rappresentativi di impresa, ha valutato l’opportunità di costituire un gruppo di lavoro multidisciplinare finalizzato ad offrire la consulenza e l’assistenza necessaria per la costituzione di una CER e/o un GAU “chiavi in mano”.

Al fine di ricomprendere nell’assistenza e nella consulenza, quali partner interessati alla costituzione di una CER/GAU, anche Enti del Terzo Settore, Enti Ecclesiastici piuttosto che Enti Pubblici con finalità imprenditoriali, è emersa la necessità di strutturare un unico centro di riferimento contrattuale che accorpi tutti i partecipanti sia lato impresa, sia lato professionisti, sia lato Enti Associativi di rappresentanza della categoria imprenditoriale, affinché l’incarico oggetto di conferimento da parte dei soggetti interessati alla costituzione di una CER/GAU possa essere svolto dai medesimi di concerto e in stretta collaborazione interfacciandosi con il committente come un unicum.

Con l’entrata in vigore della legge n. 81 del 2017, l’articolo 12 comma 3 afferma che “Al fine di consentire la partecipazione ai bandi e concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti privati, è riconosciuta ai soggetti che svolgono attività professionale, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la possibilità: a) di costituire reti di esercenti la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste, di cui all’articolo 3, commi 4-ter e seguenti, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, con accesso alle relative provvidenze in materia”.

Quanto sopra esposto e considerato l’Avvocato chiede a questo Consiglio dell’Ordine se la costituzione di un contratto di rete mista fra professionisti avvocati, commercialisti, Enti del Terzo Settore, Enti Ecclesiastici, Imprese e Associazione di rappresentanza della categoria degli imprenditori, Enti Pubblici con finalità di impresa possa ritenersi ammissibile in riferimento alle norme del Codice di Deontologia Forense.

2.  Ulteriori norme di riferimento

Oltre alle norme richiamate dal Collega nel quesito formulato, rileva nel caso in esame l’art. 18 l. 237 del 2012 , il quale stabilisce che “la professione di avvocato è incompatibile:

a)  con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l’esercizio dell’attività di notaio. È consentita l’iscrizione nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell’elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell’albo dei consulenti del lavoro;

b)  con l’esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale svolta in nome proprio o in nome o per conto altrui. È fatta salva la possibilità di assumere incarichi di gestione e vigilanza nelle procedure concorsuali o in altre procedure relative a crisi di impresa;

c)  con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione. L’incompatibilità non sussiste se l’oggetto della attività della società è limitato esclusivamente all’amministrazione di beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico;

d)  con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato.

3. Considerazioni del Consiglio

È necessario pertanto stabilire se la partecipazione dell’avvocato a un “contratto di rete mista” viola le disposizioni dell’art. 18 c.d.f. e, più in particolare, se la partecipazione a tale contratto in qualità di professionista costituisca da parte dell’avvocato attività di impresa commerciale.

La Legge n. 81 del 22 maggio 2017, prevede, all’art. 12, la possibilità di costituire reti di esercenti la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di ‘reti miste’ ai fini della partecipazione a bandi e per l’assegnazione di incarichi e appalti privati. La stessa legge chiarisce, all’art.1, che le norme da essa dettate si applicano ai soli rapporti di lavoro autonomo, escludendo dall’ambito di applicazione della legge gli imprenditori, ivi compresi i piccoli imprenditori, di cui all’articolo 2083 del codice civile.

Si fa quindi riferimento al contratto di rete misto quando si vuole indicare che a tale contratto partecipano sia soggetti imprese, siano esse piccole, medie, o grandi imprese, sia professionisti, che all’interno del contratto sono chiamati a rendere servizi professionali mantenendo la loro qualità di lavoratori autonomi.

Viene a supporto di tali affermazioni anche la circolare MISE n. 3707/C del 30 luglio 2018, con la quale il Ministero dello Sviluppo Economico, intervenendo sulla definizione giuridica e l’applicazione, anche dal punto di vista procedurale della pubblicità commerciale, delle nuove modalità di costituzione del contratto di rete contenute nella Legge n. 81 del 22 maggio 2017, chiarisce che i professionisti possono creare solo contratti di rete misti con gli imprenditori e non contratti di rete ordinari (ovvero contratti di rete fra imprese) ai fini pubblicitari del registro delle imprese. Ovvero: i professionisti possono partecipare a un contratto di rete soltanto in qualità di professionisti e non assumono in questi casi la qualità di imprenditori commerciali, tanto che la rete viene detta ‘mista’ proprio perché costituita da imprese e liberi professionisti, chiamati a rendere attività di consulenza propria della loro professione.

4.  Conclusioni

È consentita all’avvocato, ai sensi dell’art. 18 c.d.f., la partecipazione in qualità di professionista chiamato a rendere servizi legali a una rete ‘mista’ fra imprese e professionisti lavoratori autonomi purchè la sua attività rimanga nell’ambito della consulenza legale.

Essendo la partecipazione consentita ai sensi dell’art. 18 c.d.f., la partecipazione dell’avvocato al contratto di rete mista deve ritenersi consentita anche ai sensi dell’art. 6 c.d.f.

Dipenderà invece dalla condotta futura dell’avvocato la sua non censurabilità ai sensi degli artt. 9 e 17 c.d.f., non essendo di per sé in violazione delle suddette norme la partecipazione al contratto di rete mista ai fini indicati nella richiesta di parere.

         Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.