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parere

Avvocato: sulla solidarietà nel pagamento dei compensi professionali ex art. 13, comma 8, L. 247/2012

Un avvocato subentra nella difesa di un cliente nel corso di una causa di merito a seguito della revoca del precedente difensore, il quale aveva assistito lo stesso cliente anche in precedenti procedimenti esecutivi, senza ricevere l’intero compenso. Il collega subentrato assiste quindi la parte nella redazione dell’accordo transattivo con la controparte e sottopone a questo Consiglio una serie di questioni relative alla solidarietà professionale, ex art. 13, comma 8, L.247/2012, distinte in cinque quesiti.

1. Quesito. La solidarietà  ex art. 13, comma 8, della legge professionale opera anche a favore delle competenze maturate dal collega revocato che non ha assistito la parte nell’accordo transattivo? Oppure la solidarietà professionale è un beneficio che opera a favore esclusivamente dei difensori che hanno assistito le parti nella redazione dell’accordo transattivo?

2. Quesito. Qualora l’ex-difensore si rifiuti di sottoscrivere la rinuncia alla solidarietà in calce ad una transazione raggiunta successivamente dal proprio ex assistito ad opera del successivo difensore, potrà richiedere i compensi maturati solo al proprio assistito o potrà agire verso la controparte?

3. Quesito. La sottoscrizione della rinuncia alla solidarietà professionale opera solo per i compensi dovuti ai legali per l’ attività conciliativa oppure opera anche per l’attività precedentemente resa sia essa relativa al giudizio per cui è causa sia ai giudizi con esso connessi?

4. Quesito. Il collega che si è dichiarato antistatario e che è distrattario delle spese degli estinti procedimenti esecutivi ma non integralmente soddisfatto può agire in proprio nei confronti della controparte?

5. Quesito. Possono le ragioni di asserito credito del collega revocato impedire la conclusione dell’accordo transattivo con la controparte?

2. Norme Rilevanti e giurisprudenza

La fattispecie è regolata dall’art. 13, comma VII, della l. 247/2012 sulla “Nuova disciplina dell’Ordinamento della professione forense”.

Stabilisce in particolare la norma richiamata:

“(…) 8. Quando una controversia oggetto di procedimento giudiziale o arbitrale viene definita mediante accordi presi in qualsiasi forma, le parti sono solidalmente tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese a tutti gli avvocati costituiti che hanno prestato la loro attività professionale negli ultimi tre anni e che risultino ancora creditori, salvo espressa rinuncia al beneficio della solidarietà.”

Come ha recentemente precisato la Corte di Cassazione (ord. 9 febbraio 2021, n. 3052), seppure con riferimento a una fattispecie disciplinata dal precedente art. 68 della legge forense, “trattasi di norma di stretta interpretazione che deroga al principio per cui il contratto professionale vincola solo i contraenti (Cass. 16856/2015).

Come ha precisato la Corte costituzionale, l’aspettativa del difensore a soddisfarsi sulle spese di soccombenza deve ricevere tutela anche nel caso che le parti tronchino la lite, tanto più che la transazione deve normalmente coprire tutta l’area della controversia e, perciò, sorto che sia il giudizio, comprendere anche il regolamento delle spese e degli onorari dovuti ai patroni delle parti (Corte Cost. 132 del 1974).

La disposizione è – dunque – volta ad evitare che le parti processuali possano sottrarsi al pagamento, transigendo la lite ed impedendo la liquidazione giudiziale delle spese.

Alla luce della descritta ratio legis, la solidarietà può  tuttavia operare solo riguardo alle parti processuali, poiché, se, da un lato, il cliente è già tenuto al pagamento in forza del contratto professionale, per altro verso, solo la controparte può essere condannata a pagare il difensore dell’altra in caso di distrazione e ha la facoltà di stipulare la transazione con effetti estintivi del giudizio, non anche coloro che abbiano semplicemente aderito alla transazione.

La possibilità per il difensore di invocare la speciale solidarietà prevista dalla legge professionale richiede – difatti – la sussistenza di un giudizio che sia stato bonariamente definito senza soddisfare le competenze del professionista (Cass. 7652/2017; 18334/2004) e che – proprio per effetto dell’accordo transattivo – al giudice sia stato sottratto il potere di pronunciare sugli oneri del processo (Cass. 21209/2015).” (1)

La ratio della norma è quindi individuabile nella volontà di evitare che le parti processuali si sottraggano al pagamento dei compensi degli avvocati patrocinatori ricorrendo alla transazione e così impedendo la liquidazione giudiziale delle spese.

La norma è evidentemente applicabile non a tutte le transazioni, ma ai soli accordi che facciano seguito a un procedimento giudiziale.

Stante la ratio della norma, chiaramente identificata e descritta dalle suddette pronunce giurisprudenziali, si deve ritenere:

·       con riferimento al quesito n. 1: che la responsabilità solidale sia prevista anche a favore del legale che ha assistito la parte nel processo (o anche solo per parte di esso), anche se non ha partecipato alle trattative e alla conclusione dell’accordo transattivo;

·       con riferimento al quesito n. 2: che l’avvocato revocato che ha assistito la parte nel processo, non sia stato compensato per l’attività prestata e non abbia rinunciato alla solidarietà ex art. 13, comma 8, l. 247/2012 possa agire anche nei confronti della ex controparte purché abbia prestato la propria opera professionale  nei tre anni anteriori alla transazione;

·       con riferimento al quesito n. 3: che la norma citata operi con riferimento a tutti i compensi ancora dovuti all’avvocato che ha assistito una delle parti con riferimento a tutti i procedimento giudiziali che sono stati oggetto di transazione fra le stesse parti dei giudizi;

·       con riferimento al quesito n. 4: che in questo caso la questione della solidarietà non rilevi, essendoci già un titolo di esecutivo per il pagamento delle spese in favore del difensore antistatario, legittimante quest’ultimo ad agire in proprio nei confronti della controparte soccombente.

·       con riferimento al quesito n. 5: che la risposta al quesito dipenda dalla volontà dell’altra parte di assumere o meno il rischio di essere chiamata a pagare all’avvocato della sua ex controparte il compenso ancora dovuto.

Ciò detto circa il quesito, ci corre infine l’obbligo di precisare che:

– con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense “il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” e dunque non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine;

– ne consegue che i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono da questo rilasciati in termini generali e non assumono né possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, alcuna funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né rilevare quali esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo;

– pertanto, è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella sua autonoma valutazione di comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio.

NOTE:

(1) Nello stesso senso Cass. [ord.], 8 gennaio 2018, n. 184 e, per tutte, Cass. 1 giugno 2006, n. 13135 che, sempre sotto il vigore del precedente art. 68 della l. 36/1934, ha stabilito che: l’art. 68 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, modificato dalla l. 22 gennaio 1934 n. 36, stabilendo che tutte le parti, le quali abbiano transatto una vertenza giudiziaria, sono tenute solidalmente al pagamento degli onorari degli avvocati, è operante – in ragione della latitudine della formula normativa e della sua finalità, diretta ad evitare intese tra le parti indirizzate ad eludere il giusto compenso ed il rimborso delle spese ai loro difensori – anche nel caso di «accordo» (che assume, nei riguardi del professionista, la valenza di un presupposto di fatto ai fini, appunto, dell’ottenimento degli onorari e delle spese), stipulato con o senza l’intervento del giudice o l’ausilio dei patroni, dalle parti stesse, le quali abbiano previsto semplicemente l’abbandono della causa dal ruolo o rinunciato ritualmente agli atti del giudizio (come nella specie, con derivante estinzione del processo), e prescinde, perciò, dalla persistenza del ministero difensivo; ciò si verifica sempre che i difensori non abbiano rinunciato alla solidarietà passiva delle parti (nel qual caso obbligato nei confronti del difensore continua ad essere solo il cliente) ovvero, intervenendo nella transazione, non abbiano liberato il cliente dalla relativa obbligazione ed accettato che nei loro confronti, a detto titolo, resti tenuta solo l’altra parte, a carico della quale la transazione medesima abbia definitivamente posto le spese giudiziali nel loro complesso”.