E’ stato chiesto se un avvocato possa produrre in un giudizio promosso contro un collega per responsabilità professionale la corrispondenza, qualificata espressamente riservata personale, inviatagli prima della proposizione del giudizio direttamente dal collega stesso, che si difende da solo, nella quale quest’ultimo riconosce i fatti contestagli e si dichiara pronto ad adempiere a fronte di una liberatoria in relazione alla sua attività.
Il Consiglio dell’Ordine ha precisato che l’art. 28 del Codice Deontologico dispone che non possono essere prodotte o riferite in giudizio le lettere qualificate riservate e comunque la corrispondenza contenente proposte transattive scambiate con i colleghi, con la precisazione che è producibile (solo) (i) la corrispondenza intercorsa tra colleghi quando sia stato perfezionato un accordo, di cui la stessa corrispondenza costituisca attuazione, e (ii) la corrispondenza dell’avvocato che assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste.
La fattispecie in esame è resa peculiare dal fatto che il collega si è difeso personalmente, per cui le affermazioni e le ammissioni contenute nelle sue lettere potrebbero costituire anche una sorta di “confessione”.
Peraltro, il Consiglio Nazionale Forense, se pur esaminando la questione sotto il profilo dell’avvocato che produce la corrispondenza riservata e non dell’avvocato nei confronti del quale la corrispondenza riservata viene prodotta, ha affermato che l’avvocato che si difenda personalmente, assumendo nella sede giudiziale la duplice veste di parte e di avvocato, è tenuto a rispettare le regole che disciplinano l’attività e i comportamenti di ciascuna delle due qualità, per cui, anche in tal caso, ai sensi dell’art. 28 del Codice Deontologico, configura illecito disciplinare la produzione in giudizio della corrispondenza scambiata con il collega contenente una proposta transattiva (Cons. Nazionale Forense, 13 Settembre 2006, n. 49).
Obiettivamente sembra ragionevole che ad analoga conclusione si debba pervenire nella fattispecie in esame, dove non sarebbe l’avvocato che si è difeso in proprio a produrre la corrispondenza riservata bensì l’altro avvocato che ha ricevuto detta corrispondenza, e questo pure in considerazione del fatto che il collega, che si è difeso personalmente, nel momento in cui ha qualificato le proprie missive come riservate personali, intendeva chiaramente richiamare la “tutela” apprestata dalla succitata disposizione del Codice Deontologico.
Né si può ritenere che possa sussistere l’esimente concernente la producibilità della corrispondenza con la quale sia stato perfezionato e/o attuato un accordo, in quanto, in senso strettamente giuridico, nel caso di specie, un accordo transattivo non sembra essersi perfezionato, dato che le reciproche comunicazioni, a parte il fatto che non risulta la sottoscrizione del cliente leso dal comportamento del collega (e la transazione richiede la forma scritta ad probationem), non avrebbero avuto un contenuto del tutto identico.
Semmai si potrebbe ravvisare la sussistenza dell’esimente concernente la producibilità della corrispondenza dell’avvocato che assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste, tanto più che nel caso di specie l’avvocato era anche la parte direttamente interessata, ragione per cui la sua assicurazione aveva ancor maggiore valore, ma si tratta di una valutazione di questo Consiglio che si fonda sull’interpretazione delle dichiarazioni del collega e che potrebbe non essere condivisa da un altro Consiglio dell’Ordine eventualmente chiamato a pronunciarsi sulla questione in sede disciplinare.
Infatti il giudizio è pendente dinanzi ad una Tribunale diverso da quello di Firenze e pertanto, poiché l’eventuale produzione documentale sarebbe effettuata nel luogo dove ha sede detto Tribunale, la competenza a decidere circa la sussistenza di eventuali illeciti deontologici spetterebbe (anche) al locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
parere