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parere

Avvocato: svolgimento, all’interno dei locali di una Associazione di volontariato, di attività di consulenza legale gratuita in favore degli iscritti alla medesima e dei loro familiari

E’ stato chiesto a questo Consiglio se costituisca violazione delle norme deontologiche lo svolgimento, all’interno dei locali di una Associazione di volontariato, di attività di consulenza legale gratuita in favore degli iscritti alla medesima e dei loro familiari.
La disposizione del Codice deontologico che viene in rilievo è l’art. 37 recante “divieto di accaparramento di clientela”.
Tale disposizione prevede, al primo comma, che “L’avvocato non deve acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi a correttezza e decoro” e, al quarto comma, che “e’ vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago, e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico”.
La questione che deve essere verificata è dunque se configuri o meno accaparramento di clientela lo svolgimento di prestazioni professionali presso un ente o un circolo, tenendo presente che il concetto portante dell’accaparramento di clientela è rappresentato dal compimento di atti di concorrenza sleale, posti in essere direttamente o tramite procacciatori ed agenzie, per acquisire clientela.
Sulla questione ha avuto modo di esprimersi il CNF mediante un parere reso in data 3.10.2001 (nel vigore del codice deontologico previgente) in relazione ad un quesito posto dal COA di Massa circa la “conformità ai doveri deontologici del contegno di un avvocato che si rechi in giorni prefissati presso un circolo, al fine di fornire pareri agli iscritti o ai frequentatori del circolo medesimo”.
In tale parere il CNF, dopo aver premesso che non è possibile dare una risposta generale al quesito proposto, dovendosi piuttosto considerare “le modalità concrete dell’attività condotta” osserva, in via generale, come “possa ritenersi consentito il rapporto professionale che si istituisce tra una singola Associazione o un Circolo ed un Avvocato per l’espletamento da parte del professionista di consulenza legale in ordine a problemi propri dei singoli iscritti dell’Associazione o frequentatori del Circolo”. In detto parere si precisa peraltro che, al fine di evitare che tale situazione possa costituire fatto non consentito quale “accaparramento di clientela”, è essenziale che l’attività di consulenza sia regolarmente retribuita dall’Associazione o dal Circolo.
Si tratta di un parere risalente che, tuttavia, è richiamato in molti pareri resi dal CNF anche in epoca successiva.
In relazione ad un quesito posto dal COA di Lucca riguardante la “liceità deontologica di prestazioni svolte presso sedi di una associazione con carattere di gratuità relativamente al primo consulto legale” il CNF ha, infatti, affermato che il richiamato “parere 3 ottobre 2001 appare ancora attuale sia nella prospettazione della problematicità di risposte generali sia nel richiamo del limite all’attività dell’avvocato costituito dal divieto di accaparramento della clientela. Tale concetto mantiene un disvalore anche attuale, pure se adeguato all’evoluzione della sensibilità della comunità professionale e della società. L’attività di acquisizione della clientela è – di per sé – lecita, tanto più oggi, da che l’ordinamento comunitario e l’interpretazione di svariate sue norme hanno posto in evidenza (per quanto non assorbente, non preminente e tanto meno caratterizzante) l’aspetto organizzativo, economico e concorrenziale dell’attività professionale. Il disvalore deontologico continua a risiedere negli strumenti usati per l’acquisizione della clientela che non devono essere, per l’appunto, alcuno di quelli tipizzati in via esemplificativa nei canoni complementari dell’art. 19, non concretizzarsi nell’intermediazione di terzi (agenzie o procacciatori), né essere, più genericamente, “mezzi illeciti” o meglio (nella versione vigente, approvata il 14 dicembre 2006) che possano esplicarsi in “modi non conformi alla correttezza e decoro”. (parere CNF 16.7.2010 n. 33).
Il CNF si è espresso nello stesso senso, in tempi ancora più recenti, su un quesito posto dal COA di Piacenza relativo alla “coerenza deontologica della condotta di un professionista che offra o svolga, gratuitamente o con compenso, la propria attività di consulenza professionale presso Comuni, Enti, Associazioni ecc. a favore di loro iscritti o a favore di qualsiasi soggetto”.
Anche in questo caso, e per quanto qui interessa, è stato affermato che “le questioni oggetto del quesito sono state esaminate nei pareri 3 ottobre 2001 e 16 luglio 2010 n. 33 le cui conclusioni la Commissione ritiene tuttora attuali, sia nella prospettazione della problematicità di risposte generali (inidonee a delineare i criteri distintivi di condotte, più o meno sfumate, deontologicamente incompatibili) sia nel richiamo del limen costituito dal divieto di accaparramento della clientela; tale principio mantiene il suo disvalore, pure se adeguato alla evoluzione della sensibilità della società e della comunità professionale.
L’attività di acquisizione della clientela va considerata lecita – tanto più in relazione all’ordinamento comunitario ed all’enfasi interpretativa attualmente data all’aspetto organizzativo e concorrenziale dell’esercizio professionale – con il solo limite del disvalore deontologico implicato dai mezzi, a tale fine, in concreto utilizzati, i quali non devono consistere negli strumenti tipizzati in via esemplificativa nei canoni complementari dell’art. 19 del Codice deontologico forense” (parere 22.10.2014 n. 75).
In base ai suddetti pareri, ed alla luce delle disposizioni del nuovo codice deontologico e della L. 247/2012 che, all’art. 13, consente espressamente che l’incarico professionale possa essere svolto a titolo gratuito, si può ritenere che svolgere un’attività di consulenza legale presso i locali di un ente, un circolo o, come nella fattispecie, di una Associazione di volontariato sia consentito e non costituisca di per sé un accaparramento di clientela.
Occorrerà, ovviamente, che l’attività di consulenza venga svolta nel rispetto degli ulteriori obblighi previsti dal Codice deontologico (a titolo esemplificativo dagli artt. 9, 13 e 28 e dall’art. 3, comma 2, l. 247/2012).
Si tratterà, in particolare, di assicurarsi che il luogo in cui viene prestata la consulenza abbia ambienti riservati per lo svolgimento dell’attività e che sia idoneo a tutelare il diritto di riservatezza e segretezza, di dignità e decoro.
Questo Consiglio ritiene pertanto che lo svolgimento di attività di consulenza legale gratuita in favore degli iscritti alla Associazione di volontariato e dei loro familiari sia consentito, purché vengano rispettati gli obblighi di correttezza, decoro e riservatezza di cui all’art 3 L.247/2012 ed alle disposizioni del Codice deontologico ed in particolare di cui agli articoli 9, 13 e 28.
Occorre infine precisare quanto alle norme di natura deontologica, che (i) con la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense il “potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense” (art 50 L. 247/2012) e dunque esso non rientra più tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine; (ii) i pareri in materia deontologica che gli iscritti richiedono al Consiglio dell’Ordine vengono, in conseguenza, rilasciati in termini generali e non assumono e non possono assumere, in eventuali procedimenti disciplinari, funzione orientativa né tantomeno vincolante del giudizio del Consiglio Distrettuale di Disciplina né possono rilevare quale esimente dell’iscritto sotto il profilo soggettivo; (iii) è possibile che il Consiglio Distrettuale di Disciplina, nella propria autonoma valutazione dei comportamenti concretamente tenuti, possa pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal Consiglio anche per quanto riguarda l’elemento soggettivo.