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giurisprudenza

La Suprema Corte accoglie il ricorso di un avvocato in tema di mancata ammissione allo stato passivo dei suoi compensi relativi all’attività giurisdizionale svolta per una società in liquidazione coatta in molteplici pratiche (Cass., Sez. II, 16 ottobre 2012, n. 17675)

Il caso è quello di un legale che si insinua al passivo di un procedimento di liquidazione coatta amministrativa di una società per la quale egli documentava di aver curato molteplici pratiche, allegando le relative 129 parcelle. In primo grado, il Tribunale rigettava l'opposizione del legale che non era stato ammesso nella misura richiesta; successivamente, sull'impugnazione proposta dal medesimo professionista, la Corte d'Appello, statuiva che "la domanda, pur basata su cospicua documentazione (parcelle, copia di verbale di udienza e di scritti defensioriali) non consentiva di raggiungere la prova che il compenso già riconosciuto fosse inadeguato alla natura, qualità e quantità della prestazione resa", rigettando perciò il gravame. Proposto ricorso in Cassazione, la Suprema Corte con la sentenza in epigrafe precisa che, nei giudizi aventi ad oggetto prestazioni professionali, è onere del professionista opponente provare i maggiori importi dovuti, in quanto trattandosi appunto di opposizione al passivo i principi in materia di onere della prova vanno correlati alla particolare natura e struttura del procedimento. La Corte, accogliendo il ricorso del legale, precisa poi che l’esame sulle singole domande, corrispondenti alle singole parcelle, deve essere effettuato decidendo su ciascuna delle parcelle prodotte a sostegno nella propria documentazione, in quanto ogni singola parcella dell'avvocato coincide con una distinta ragione di credito, alla quale corrisponde una autonoma domanda che il Giudice deve singolarmente esaminare.

a cura di Matteo Cavallini