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giurisprudenza

Sulla possibilità per il CNF di accertare le falsificazioni poste in essere dall’avvocato in una scrittura privata (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8080)

Il caso affrontato nella sentenza in commento è quello di un avvocato al quale il Consiglio dell’Ordine di appartenenza aveva inflitto la sanzione disciplinare della sospensione per un anno dall’esercizio della professione avendolo ritenuto responsabile di aver aggiunto, unilateralmente ed in assenza delle parti, alla scrittura privata da lui redatta all’esito di una transazione, un riconoscimento di debito a favore del proprio assistito (nella specie il padre), riconoscimento di debito in realtà mai effettuato dalla controparte. Proposto ricorso davanti al CNF, quest’ultimo confermava quanto deciso dal Consiglio dell’Ordine, osservando in particolare che, pur trattandosi di procedimento indiziario, gli elementi acquisiti, concordanti ed univoci, inducevano a ritenere provato il fatto contestato e, quindi, la falsificazione posta in essere dall’iscritto. Approdata la vicenda in Cassazione, il Massimo Consesso dichiarava inammissibili entrambi i motivi del ricorso proposto dal legale, sia quello secondo cui sarebbe stato violato il principio di ordine pubblico in base al quale l’accertamento della falsità di una scrittura privata non può essere acclarato dagli Organi (amministrativo e giurisdizionale) di disciplina forense, essendo tale accertamento devoluto in via esclusiva alla competenza dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria, sia quello secondo cui sarebbero stati violati i principi e le norme che governano l’uso degli indizi/presunzioni quale mezzo di prova. Quanto al primo motivo gli Ermellini riaffermavano il principio di diritto secondo cui “l’organo disciplinare può autonomamente accertare la falsificazione di un documento” (Cass. SS.UU. 16 giugno 2000, n. 244). Quanto al secondo motivo, la Suprema Corte osservava che il CNF, nel corso del procedimento disciplinare, aveva evidenziato numerosi elementi indiziari che, con apprezzamento insindacabile poiché congruamente motivato, aveva ritenuto gravi, precisi e concordanti nel senso della falsificazione del documento. Ebbene, continuava la Corte, “le presunzioni possono anche da sole formare il convincimento del giudice del merito e rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale”. Ad avviso degli Ermellini le valutazioni del CNF rispettavano i canoni ermeneutici sopra indicati ed il ricorso non aveva offerto idonee argomentazioni di segno contrario. Il ricorso veniva pertanto rigettato. 

a cura di Silvia Ammannati