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giurisprudenza

Basta una lettera di risposta al legale dell’ex cliente per commettere illecito disciplinare, quando l’avvocato interviene in una controversia coniugale, dopo aver assistito congiuntamente i coniugi (Cass. Sez. Un., 20 luglio 2022, n. 22729)

La vicenda in esame trae origine dall’esposto presentato al Consiglio distrettuale di disciplina di Bologna da una signora, nei confronti dell’avvocata che aveva assistito lei e il marito sia nella separazione sia nel divorzio consensuale, per aver quest’ultima assunto successivamente contro di lei incarico di assistenza del marito nella controversia sorta in merito all’esecuzione dell’accordo di divorzio.

Accertato che effettivamente l’avvocata aveva fornito al solo marito, che si era rivolto a lei (mentre la moglie si era munita di altro legale) una vera e propria assistenza tecnica, benché limitata alla fase stragiudiziale, il CDD irrogava la sanzione della censura, per violazione dell’art. 51 del previgente codice deontologico forense (oggi art. 68 c.4), che prevede com’è noto che “L’avvocato che abbia assistito congiuntamente coniugi o conviventi in controversie di natura familiare deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno di essi in controversie successive tra i medesimi”.

L’avvocata impugnava la decisione davanti al C.N.F., contestando fra l’altro la sussistenza di elementi di rilevanza disciplinare nella propria condotta, deducendo di essere intervenuta, in una corrispondenza con il legale della moglie, al solo fine di chiarire i conteggi posti a base delle richieste di pagamento, per favorire un accordo e per aiutare il marito, all’epoca affetto da gravi problemi di salute, senza utilizzazione di documenti o informazioni assunti in ragione del vecchio mandato.

Tuttavia, il CNF confermava la rilevanza disciplinare della condotta addebitata, limitandosi a ridurre la sanzione in avvertimento, sia in quanto l’intervento dell’incolpata si era limitato alla fase stragiudiziale e non aveva provocato alcuna lesione degli interessi dell’ex cliente; sia perché la condotta risaliva ai primi mesi dell’anno 2012, nella vigenza del precedente Codice deontologico, con conseguente operatività del principio del favor rei.

Avverso la sentenza del CNF l’avvocata ricorre in Cassazione, lamentando omessa o apparente motivazione della decisione impugnata, nonché erronea applicazione dell’art. 51 c.d.f. previgente, non essendo emerso dagli atti processuali alcun atto a lei imputabile volto a ravvisare la formalizzazione di una posizione conflittuale per conto del marito nei confronti della moglie, avendo solo dato riscontro ad una comunicazione del legale di questa, al fine di chiarire le reciproche posizioni delle parti alla luce delle condizioni di carattere patrimoniale concordate in sede di divorzio consensuale.

Senonché, la Corte rileva come la sentenza impugnata risulti adeguatamente e ragionevolmente motivata tanto con riferimento alla sussunzione della condotta posta in essere nell’illecito disciplinare per il quale è stata riconosciuta la responsabilità, sia pure tenue, quanto con riguardo alla sanzione in concreto irrogata, ossia l’avvertimento.

In tal senso denota anche il precedente di legittimità con cui è già stato chiarito che, ai fini della configurabilità dell’illecito di assunzione di incarichi contro una parte già assistita, non importa stabilire se sussista o meno la prova del conferimento formale del mandato o dell’assolvimento di un’attività di consulenza, quanto piuttosto se l’avvocato abbia svolto un’attività di assistenza, anche soltanto formale (Cass. n. 8057/2014).

Cosicché, conclude la Corte, le critiche articolate dalla ricorrente degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione e la condanna disciplinare.

Pertanto, il ricorso viene respinto.

A cura di Stefano Valerio Miranda

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Allegato:
22729-2022