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giurisprudenza

Compensi professionali in misura inferiore ai minimi tariffari: nullità dell’accordo posto in essere in violazione all’art. 24 della L. 794 del 1942 (Cass., Sez. Lav., 27 settembre 2010, n. 20269)

Con la sentenza in commento la Suprema Corte di Cassazione, in linea con altre precedenti pronunce (Cass. 7144/1998), conferma che il compenso dell'avvocato costituisce un diritto patrimoniale disponibile e in quanto tale può essere oggetto di un accordo transattivo tra il professionista ed il cliente. Alle parti è, però, inibito di violare il divieto imposto dall'art. 24 della L. 794/92, che espressamente statuisce che “gli onorari e i diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono inderogabili”. L'avvocato può, pertanto, prestare la propria attività professionale anche gratuitamente sia in ragione del rapporto di amicizia, di parentela o sia anche per semplice convenienza, ma non può predeterminare consensualmente con il cliente di derogare ai minimi stabiliti dalla tariffa forense.
Sebbene l'art. 24 costituisca una limitazione al principio della libera concorrenza, la norma in esame non si pone in contrasto con il principio comunitario, poiché detto limite trova la sua giustificazione nell'esigenza di garantire la qualità della prestazione professionale e della buona amministrazione della giustizia a tutela dei consumatori: il contesto italiano è, infatti, caratterizzato da un'elevata presenza di avvocati ed le disposizioni tariffarie che fissano onorari minimi consentono di evitare una concorrenza che si traduce nell'offerta di prestazioni al ribasso, tali da poter determinare un peggioramento della qualità dei servizi.

A cura di Ilaria Biagiotti