La pronuncia in commento origina da una incresciosa vicenda penale che ha visto coinvolto anche un avvocato, condannato da due sentenze penali per una serie di gravi reati commessi in concorso, fra cui quelli di corruzione giudiziaria, illecito finanziamento ai partiti, falso in atto pubblico ed evasione fiscale.
Sanzionato per i medesimi fatti dal Consiglio Distrettuale di Disciplina di Catania con la radiazione dall’albo professionale per violazione dei doveri di probità e decoro ex art. 9 codice deontologico forense, l’avvocato impugnava la decisione del CDD davanti al Consiglio Nazionale Forense, formulando ben sette motivi, di cui il sesto denunciava la violazione del principio del ne bis in idem, atteso che la risposta disciplinare avrebbe dovuto rispettare “il criterio della proporzione afflittiva tra cumulo sanzionatorio e fatti commessi”.
Il CNF rigetta tale motivo, così come tutto il ricorso, sul presupposto che la sanzione della radiazione è applicabile all’avvocato –indipendentemente dalle condanne penali eventualmente riportate– che abbia “gravemente compromesso la propria reputazione e la dignità professionale” (art. 42 L. n. 247/2012).
Nel caso di specie, i comportamenti tenuti dall’avvocato avevano avuto amplissimo eco mediatico e suscitato allarme sociale, avevano leso l’immagine e la dignità dell’intero ceto forense, erano totalmente in contrasto con il giuramento e l’impegno solenne di cui all’art. 8 L. n. 247/2012, e dunque rendevano con evidenza “incompatibile la permanenza dell’incolpato nell’albo” (art. 53 c. 4 L. n. 247/2012; cfr. Cass. SS.UU, sentenza n. 29878 del 20 novembre 2018), indipendentemente dal comportamento più o meno collaborativo tenuto in sede penale e di qualsiasi e improprio bilanciamento tra sanzione penale e sanzione deontologica.
Lo stesso avvocato, infatti, aveva in particolare reso confessione sugli episodi di corruzione in concorso con magistrati ed appartenenti ad uffici giudiziari, svolgendo il ruolo di intermediario, ricevendo somme da destinarsi ai predetti pubblici ufficiali affinché violassero i loro doveri di imparzialità, concorrendo nella redazione di verbali di interrogatori e di sommarie informazioni falsi materialmente ed ideologicamente, corrompendo consulenti tecnici della Procura e consiglieri della Corte di Giustizia amministrativa per ottenere decisioni favorevoli nonché politici.
A fronte di tale quadro, pertanto, il CNF ribadisce il costante principio giurisprudenziale, secondo cui “La doppia affermazione di responsabilità, in sede penale ed amministrativa per l’identico fatto, è conforme ai principi della convenzione CEDU e non vìola il divieto di bis in idem, stante la diversa natura ed i diversi fini del processo penale e del procedimento disciplinare, nel quale ultimo il bene tutelato è l’immagine della categoria, quale risultato della reputazione dei suoi singoli appartenenti” (Corte di Cassazione SS.UU, sentenza n. 35462 del 19 novembre 2021; in tal senso CNF, sentenza n. 206 del 9 novembre 2022).
A cura di Stefano Valerio Miranda