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giurisprudenza

Il dies a quo del diritto all’equo indennizzo per l’eccessiva durata del processo (Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2005, n. 28507)

La Suprema Corte, con la sentenza in epigrafe, ha fatto chiarezza circa la controversa questione giurisprudenziale sorta in ordine al dies a quo a partire dal quale è azionabile il diritto all’equo indennizzo per l’eccessiva durata del processo previsto dalla legge n. 89 del 2001.
Difatti, appare superato l’orientamento giurisprudenziale che ravvisa la fonte del riconoscimento del diritto all’equa riparazione nella sola normativa nazionale, rivelandosi tale, viceversa, il mancato rispetto del termine ragionevole di durata previsto dall’art.6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, di immediata rilevanza nel diritto interno.
A tale principio seguono immediatamente due corollari: innanzitutto, il diritto in questione potrà essere esercitato dal momento della violazione dell’art. 6 della Convenzione indicata, anche se essa è avvenuta prima della data di entrata in vigore della legge nazionale; in secondo luogo, il diritto de quo va riconosciuto dal giudice nazionale anche in favore della parte che abbia introdotto prima della data di entrata in vigore della legge n. 89/01 il giudizio del quale si lamenta la non ragionevole durata, con il solo limite che la domanda non sia già stata proposta alla Corte di Strasburgo e che questa si sia pronunciata sulla sua ricevibilità.
In particolare, per quanto riguarda le cause proposte davanti al giudice amministrativo, la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo va riscontrata, senza che su di essa possa incidere la mancata o ritardata presentazione dell’istanza di prelievo del ricorso dal ruolo prevista dall’art.51 comma 2, r.d. n. 642/1907, in quanto la presenza di strumenti sollecitatori non sospende né differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, né implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell’apprezzamento dell’entità del lamentato pregiudizio.

A cura di Guendalina Guttadauro

Allegato:
28507-2005