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giurisprudenza

Il riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite all’estero (Corte di Giustizia CE, causa C311/06)

Con la sentenza C-311/06, la Corte di Giustizia UE interviene sul tema generale del riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite all’estero in ambito comunitario, sistema di riconoscimento regolamentato dalla direttiva 89/48/CEE, che consente ad un cittadino – titolare di un diploma abilitante all’esercizio di una professione regolamentata, acquisito in uno Stato membro – di esercitare la medesima professione, in forza dello stesso titolo, in un altro Stato rientrante nella Comunità Europea.
Il caso sottoposto all’attenzione della Corte riguardava un cittadino italiano, che, dopo avere ottenuto in Spagna l’omologazione di un diploma di laurea triennale in ingegneria, conseguito presso un’Università italiana, era riuscito ad ottenere, da parte del Ministero della Giustizia, il riconoscimento della validità del certificato di omologazione, ai fini della sua iscrizione all’albo degli ingegneri in Italia. Il tutto senza avere mai svolto attività professionale fuori dall’Italia, e senza avere seguito una formazione, né superato esami previsti dal sistema di istruzione spagnolo.
La Corte di Giustizia UE, interpellata dal Consiglio di Stato, ha dichiarato, però, che i certificati di omologazione – e gli altri titoli equipollenti – che non attestano alcuna formazione, o che non si fondano su esami o esperienze professionali acquisite in uno Stato membro, non possono essere equiparati in alcun modo ai diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni, il cui riconoscimento tra gli Stati membri è invece garantito e imposto dalla direttiva 89/48/CEE. Un’interpretazione differente, finendo per avvalorare pratiche elusive delle normative nazionali per l’accesso alle professioni regolamentate – le c.d. procedure di trasferimento all’estero solo “burocratiche” – risulterebbe contraria al principio sancito dalla direttiva stessa, per cui gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire il livello minimo di qualifica necessario, allo scopo di garantire la qualità delle prestazioni fornite sul loro territorio.
La decisione della Corte si è imposta anche all’attenzione del Consiglio Nazionale Forense, che, facendola propria, ha suggerito ai C.D.O. di esaminare nel dettaglio le domande di iscrizione nella sezione speciale dell’albo dedicata agli avvocati stabiliti, sottolineando che, per il futuro, “l’efficacia vincolante della sentenza della Corte di Giustizia potrà condurre a rifiutare la iscrizione nell’albo, qualora sia accertato il carattere artificioso del percorso che ha portato l’istante alla relativa richiesta”.

A cura di Paolo Serrangeli

Allegato:
311-2006