La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione viene di nuovo chiamata a valutare l’imputabilità, all’interno dell’associazione professionale, dei compensi che il professionista avvocato ha ricevuto in qualità di arbitro.
A distanza di pochi mesi dalla sentenza analoga del 10.12.2008 num.28957 la Suprema Corte non sposta la propria determinazione, confermando che l’attività di arbitro esercitata da un avvocato rientra tra quelle tipiche della sua professione, e nulla vieta che possa essere svolta dal professionista aderente ad una associazione professionale, costituita ai sensi dell’art.1 della legge 23 novembre 1939 n.1815.
Di talché è onere dell’Amministrazione dimostrare all’interno di tale condotta un intento elusivo.
Nel caso in esame i contribuenti hanno proposto ricorso avverso avviso di accertamento, con il quale l'Ufficio aveva rettificato gli imponibili dichiarati ai fini irpef e ilor per l'anno 1990, recuperando a tassazione compensi percepiti dall’ avvocato, in qualità di componente di collegio arbitrale.
Resistevano il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.
Il ricorso veniva accolto solo nei confronti di quest’ultima, dichiarando la Suprema Corte inammissibile lo stesso nei confronti del Ministero, risultando estraneo al giudizio di appello.
E’ parimenti orientamento costante (confermato anche nella precedente sentenza del 2008) la compensazione delle spese per le difficoltà interpretative connesse alla normativa in esame.
A cura di Simone Pesucci